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La Repubblica / Affari&finanza

Agroalimentare, tre sfide per l’Italia ... Qualcuno ha parlato del rischio di una "apocalisse fiorita". Forse è troppo. Ma le preoccupazioni sulle conseguenze di un clima sempre più bizzarro sono giustificate in un paese come il nostro dove così importante è il peso economico rivestito della filiera agroalimentare. In Italia l'industria alimentare rappresenta il secondo comparto del manifatturiero. Più importante è solo il metalmeccanico. Secondo stime sul 2006 recentemente diffuse da Federalimentare gli addetti del settore sono 390mila. Se estendiamo a monte e a valle la filiera produttiva, scopriamo che le persone che in Italia lavorano nel settore agroalimentare sono due milioni e mezzo. Di queste, 900mila sono gli addetti nell'agricoltura. Poi ci sono gli impiegati nella distribuzione, dai supermercati ai negozi e ai banchi dei mercati. E anche 75mila ristoranti e trattorie insieme a 130mila bar. L'export agroalimentare rappresenta più del 5 per cento delle esportazioni nazionali. La quota di vendite all'estero sul valore della produzione delle imprese alimentari italiane è cresciuta come pure è aumentata la porzione di "import penetration" ovvero la parte di domanda di prodotti alimentari soddisfatta da produzioni estere. L'alimentare italiano non è sfuggito alla sfida della globalizzazione.
Ma alcuni risultati sono incoraggianti. Guardando agli anni compresi tra il 1997 e il 2005, la quota di mercato in valore dell'alimentare italiano sul totale dell'alimentare mondiale è salita dal 3,8 per cento al 4,2 per cento. Nello stesso periodo, invece, la quota sul mercato mondiale dell'intero manifatturiero italiano è scesa dal 4,3 per cento al 3,7 per cento. Mentre il manifatturiero perdeva terreno, l’alimentare ne guadagnava. Dietro il consolidamento delle quote di mercato nominali c’è stato un cospicuo aumento dei valori medi unitari dell’export alimentare a cui si associa una sostanziale stabilizzazione delle quantità esportate. All’interno del settore, il prodotto che appare segnare il più intenso aumento dei valori medi unitari è stato il vino con una crescita cumulata superiore al 40% nel periodo 19982005. Seguono, dopo il vino, gli oli vegetali. Nei mesi più recenti l’incremento dei valori medi all’esportazione dei prodotti alimentari italiani ha cominciato ad accompagnarsi anche all’aumento delle quantità esportate. Tra gennaio 2006 e settembre 2006 i volumi di esportazioni alimentari sono cresciuti ad un ritmo del 4,3 per cento che è stato addirittura superiore all’incremento dei relativi valori medi unitari (+2,7 per cento). Le molte luci non consentono, tuttavia, di dimenticare i problemi strutturali con cui anche il settore alimentare italiano si confronta.
Il riferimento è ad almeno tre ordini di questioni: 1) l’andamento dei costi unitari del lavoro per unità di prodotto; 2) la polverizzazione del settore dovuta alla massiccia presenza di micro imprese; 3) la notevole anzianità dei soggetti controllanti la maggioranza delle imprese alimentari italiane. Nel decennio compreso tra il 1996 e il 2005 il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) è cresciuto mediamente del 2,3% nel settore alimentare contro il 2,2% del totale dell’industria manifatturiera e il 2% del totale economia. L’aumento del CLUP deriva soprattutto da una modesta performance della produttività (0,3% all’anno nella media del periodo 19962005) che si è combinata ad un incremento del costo del lavoro per dipendente non superiore alla media del totale manifatturiero e dell’intera economia. Riguardo alla polverizzazione, la dimensione media delle imprese alimentari italiane si colloca intorno ai 67 addetti, ben al di sotto dei 14 che rappresentano la media europea. Sono oltre 60mila le imprese che impiegano meno di 10 addetti mentre sono appena 200 le aziende con più di 50 occupati. Un numero ridotto di grandi imprese titolari anche di importanti investimenti diretti oltre i confini nazionali convive con una fitta rete di piccole e micro imprese operanti in una pluralità di singole nicchie di mercato. La piccola e piccolissima dimensione si lega strettamente all’originalità e alla qualità dei prodotti venduti. Ma i vantaggi produttivi di rimanere piccoli e originali si confrontano con gli svantaggi e con gli oneri che la taglia minima inevitabilmente comporta in termini commerciali, finanziari e di innovazione specie quando ci si confronta con un mercato sempre più internazionale.
Il nanismo individuale di gran parte dell’alimentare italiano potrà essere alleviato dal rafforzamento della cooperazione tra imprese nella forma di consorzi, reti e joint ventures. Riguardo al tema del ricambio generazionale, il professor De Castro ha recentemente osservato che appena il 4% degli imprenditori agricoli italiani ha meno di 35 anni, mentre oltre il 65% degli stessi ha un’età compresa tra 55 e i 65 anni. Nel settore dell’alimentare circa il 30% dei soggetti controllanti l’azienda ha oltre 70 anni contro una quota del 22% rilevata a livello di totale industria. Un più agile turnover anagrafico all’interno del ceto imprenditoriale è necessario per assicurare il passaggio da una generazione all’altra di quel patrimonio di conoscenze non formalizzate che rappresentano grande parte della qualità produttiva delle piccole e micro imprese italiane. Più che in altri settori, ciò vale per l’alimentare. Rilanciare la produttività. Consolidare la dimensione. Agevolare il ricambio generazionale. Sono tre elementi di una strategia con cui la filiera italiana dell’agroalimentare potrà affrontare con efficacia il futuro capitalizzando sui buoni risultati degli anni passati. Le sfide a venire sono importanti.
Dall’affermarsi di nuovi concorrenti all’ulteriore apertura dei mercati alla necessità sempre più cogente di coniugare sviluppo economico e sostenibilità ambientale, specie in uno scenario di ricorrenti "emergenze" climatiche. Superare queste sfide non sarà facile. Ma accanto a loro, le imprese alimentari italiane potranno contare sul supporto di un grande alleato: il consumatore italiano, che più di altri conosce e apprezza le qualità di mangiare e bere "made in Italy".
(arretrato de La Repubblica - Affari&Finanza del 29 gennaio 2007)

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