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La Repubblica / Affari&finanza

Supermercato, dacci oggi il nostro marchio quotidiano ... Il trend. La riscoperta del patrimonio tipico territoriale del food & wine Made in Italy fa salire l’export agrolimentare del 12% e anche i vini dei Grandi Marchi segnano una crescita del 10%... ventinove milioni di chili di mortadella Bologna Igp venduti nei primi nove mesi di quest’anno, con un incremento della produzione del 2,3% e un aumento ancora più sensibile del fatturato. Un boom per questo prodotto tipico dell’Emilia Romagna, trainato principalmente dalle confezione in tranci e in vaschette di preaffettato, che rappresentano oltre il 10% del totale complessivo delle vendite, che da sole hanno fatto registrare una crescita del 18,4% sullo stesso periodo del 2007.
Un tempo considerato “prodotto povero” la mortadella di qualità è diventata il simbolo delle nuove tendenze, che vedono i consumatori sempre più attenti al portafoglio, ma senza rinunciare alla scelta accurata del prodotto. Si spende meno, si mangia sempre meglio.
Una tendenza a doppia corsia che vede da una parte una forte contrazione dei consumi indotta dalla crisi, dall’altra un aumento delle vendite di prodotti a cosiddetto valore aggiunto, categoria che raccoglie sia i cibi di elevata qualità, come le Dop e le Igp, che i prodotti preparati che fanno risparmiare tempo. “Primi piatti pronti, formaggi pronti, a trainare le vendite le categorie esemplari che mostrano come la crescita nei consumi avviene con l’innovazione, dove l’industria di marca fa scuola”, sottolinea Luigi Bodoni, presidente di Centromarca, l’associazione che raccoglie l’industria di marca.
Il pane quotidiano, dicono le rilevazioni, è ormai la tecnologia. Si impennano le vendite di cellulari, di iPhone e di ebook e i servizi collegati a tutto quanto è elettronico e telematico. Così, chi non ha disponibilità economiche sufficienti non ha esitazioni: “Invece del prosciutto mangia la mortadella, ma non rinuncia agli Sms”, è il luogo comune che circola tra gli addetti al settore. Diversa la situazione sul versante opposto, quelli degli heavyspender, le fasce di popolazione dotate di potere di acquisto elevato: non rinunciano al top di gamma, che, almeno per il momento, è quello che ancora tiene.
La crisi galoppa e l’Italia, anche a tavola, appare profondamente divisa, tra poveri e ricchi. La forbice si allarga sempre più. Ma la frattura, drammatica dal punto di vista del portafoglio, si ricompone dal punto di vista degli atteggiamenti, del costume alimentare. Pur dovendo tirare la cinghia, infatti, l’italiano è sempre orientato alla qualità; magari, appunto, tra prosciutto e mortadella opta per la seconda, ma la vuole comunque buona.
Insomma, sceglie il prodotto “più povero” ma di ottimo livello. Invece dell’orata, il soase, per esempio: lo consigliano molti grandi chef, nelle scuole di cucina, a riprova che non sempre chi spende di più compra il meglio.
Anzi. L’abbuffata consumistica del passato ha fatto impennare le quotazioni di pochi prodotti di moda, facendo dimenticare la ricchezza dal patrimonio agroalimentare del nostro paese. Anche nel vino: “Fino a solo qualche anno fa era di moda tra gli amanti del vino di qualità dire: ieri ho bevuto una grande etichetta a 100 euro. Oggi si sente più spesso ripetere: guarda che chicca che ho trovato, a meno di 10 euro”, racconta Emilio Pedron, presidente Giv, Gruppo Italiano Vini, primo in Italia per fatturato, con etichette che spaziano dalla fascia bassa al top, un osservatorio privilegiato per capire che vento tira.
Nonostante gli scandali, che hanno travolto i nostri prodotti dal vino ai formaggi, il wine & food made in Italy piace soprattutto all’estero. “Un incremento totale del 12% delle export, che fa di questo settore un asset chiave dell’industria italiana”, commenta Ersilia di Tullio, responsabile area agricoltura e industria alimentare di Nomisma.
Una tendenza confermata dalle ultime rilevazioni dell’Istituto del vino italiano di qualità Grandi Marchi, che conta al proprio interno la massima qualità dell’enologia nazionale: 18 aziende top di tutto il Paese, da Gaja a Michele Chiarlo, da Ambrogio e Giovanni Folonari a Pio Cesare, da Carpenè Malvolti a Masi, Jermann e Alois Lageder: vini icona che hanno segnato nel 2008 un fatturato pari 550 milioni di euro, che equivale a una crescita del 10% e una quota di export del 60%. Maturato grazie anche a un processo di internazionalizzazione ‘anticrisi’, orientato ad allargare il risiko sui nuovi buyer mondiali, da Singapore all’India.

Ma il palato esigente degli italiani, pur messo a dura prova dalla stretta economica, non viene meno a certi principi. Siamo il paese con il maggior consumo di prodotti Dop, denominazione origine protetta, e Igp, identificazione geografica protetta, evidenzia l’ Osservatorio prodotti tipici di Nomisma. Prosciutto di Parma, Grana padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di San Daniele, Mozzarella di bufala campana: nella top ten dei consumi alimentari sono marchi noti e produzioni tipiche del territorio a determinare i criteri di scelta, seguiti, al terzo posto, dalla convenienza di prezzo. Marchi che si trovano anche nei supermermercati a prezzi competitivi rispetto ai negozi tradizionali, ragion per cui si tende ad acquistarli nel canale della grande distribuzione. Una leva strategica, come prova il caso della mortadella: “Le nostre performance sono merito di una politica che mette al primo posto la garanzia di qualità del prodotto e il rispetto verso il consumatore che si traduce anche nel contenimento dei prezzi: negli ultimi dieci anni l’incremento del prezzo medio della Mortadella Bologna è sempre stato più basso dell’inflazione”, racconta Francesco Veroni, Presidente del Consorzio Mortadella Bologna.
Le rilevazioni Nomisma, dicono che iper e supermercati crescono, continua, dopo il grande boom, la crescita degli hard discount. I negozi chiudono, ma spuntano le boutique del gusto, angoli dove si vendono prodotti di nicchia, spesso prevenienti dal bacino locale.
La rivoluzione Slow Food, la cultura dei prodotti di qualità, si mantiene anche in momenti di forte crisi. Una tendenza che si registra anche per il vino. “La forbice si allarga, crescono da una parte i vini messi sullo scaffale a meno di 1,5 euro e dall’altra quelli che costano più di 5 euro. Chi ha difficoltà di acquisto compra bottiglie che costano meno, ma pur sempre bottiglie, che già costituiscono un salto di qualità. La fascia di consumatori bassa è inoltre aiutata dal fatto che oggi, rispetto al passato, anche il vino al cartone è comunque di qualità discreta e controllato.
Cambiano anche i consumi fuori casa, dove cominciamo a seguire gli spagnoli, molto più abituati di noi a mangiar fuori. Secondo i dati Nielsen il consumo fuori casa totale di vino non cala, ma cambia il modo e il luogo in cui viene venduto: meno nei ristoranti, di più nei wine bar e negli stessi bar, dove invece prima era compresso tra aperitivi e altre bevande.

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