02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

La Repubblica / Affari&finanza

Vino, il made in Italy ha trovato l’America ... Ha brindato all’insediamento con bollicine italiane. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama è diventato il miglior testimonial mondiale dell’andamento del mercato, che vede i vini italiani continuare a crescere negli Usa. Poco, ma continuano a salire. Proprio negli States dove la crisi ha cominciato a mordere prima che in altri paesi e dove il dollaro debole penalizza i prodotti dell’area euro: le bottiglie made in Italy tengono testa a tutti, pure alla Francia, che con i suoi Champagne e Bordeaux firmati la faceva da padrona e che da qualche anno si ritrova davanti l’Italia, prima per bottiglie vendute Oltreoceano. Un sorpasso clamoroso confermato nel 2008 dall’Iwfi, Italian Wine & Food Institute. L’istituto di New York guidato da Lucio Caputo segnala che a fronte di una riduzione in quantità del 6,5% rispetto al 2007 abbiamo migliorato la posizione in valore, con +1%. Un record rispetto ai competitor: l’Australia ha perso il 5,5% in quantità e il 13,7% in valore, la Francia il 12,9% in quantità, il doppio esatto di noi. I cugini d’Oltralpe sono cresciuti in valore del 6,5%, ma a conti fatti, ma non riesce a raggiungere l’Italia che s’è conquistata il 29,1% dell’export, contro il 24,2% dell’Australia e 12,4% della Francia.

“Teniamo le posizioni, ma stiamo lottando su tutto: limiamo i prezzi, aumentiamo le promozioni; mentre prima si cresceva del 10% senza il minimo sforzo”, racconta Claudio Rizzoli, direttore amministrativo di Nosio Spa, del gruppo Mezzacorona. Spiega Rizzoli: “Importante è il controllo della filiera: abbiamo iniziato nel ‘90 e poi sempre aumentato la nostra presenza diretta sui mercati. In Usa abbiamo 40 dipendenti, che si appoggiano a grossisti locali e garantiscono una presa immediata sul territorio che ci consente di predisporre immediatamente iniziative adatte ai nuovi trend”. Con 3.500 ettari di terreno tra Trentino Alto Adige e la Sicilia il gruppo Mezzacorona ha un portafoglio ampio di marchi che coprono tutte le fasce di prodotto, senza mai rinunciare alla qualità. I risultati, presentati proprio oggi, parlano chiaro: 140 milioni di euro di fatturato, in crescita del 7% rispetto al 2007, 8 milioni di utile, e 30% delle esportazioni in Usa e il resto tra Europa e Italia.

Piccoli rispetto ai concorrenti mondiali, i nostri viticoltori acquistano forza e capacità di penetrazione all’estero facendo network. Non a caso, quest’anno è ripartita la corsa alle concentrazioni. In aprile, per esempio, la Cantina di Soave ha acquisito la Cantina di Montecchia di Crosara: con cinque stabilimenti produzione, frutto di precedenti alleanze, controlla quasi la metà della produzione della Doc Soave, con un fatturato di 70 milioni di euro, in crescita rispetto allo scorso anno.

Ma l’operazione più importante è avvenuta a fine 2008 la fusione tra le Cantine Riunite, di Reggio Emilia, e il Gruppo Italiano Vini di Verona, due realtà che alle spalle hanno una miriade di produttori sparsi da nord a sud e che insieme hanno dato vita a un colosso, per l’Italia, da 450 milioni di euro. Una mossa che ha messo una bella distanza dai produttori italiani che guidavano finora le classifiche di Mediobanca: Caviro, Cavit e l’altro importante marchio trentino, La VisValle di Cembra, che continua imperterrito la marcia di acquisizioni: dopo Villa Cafaggio, Tresa, St. Andrae, Maso Franch, Poggio Morino, l’ultimo acquisto è stato il completamento dell’acquisizione di Sforza Cesarini, che prima aveva al 50% con la Rinaldini distribuzione.

“Vogliamo governare meglio la struttura con strategie più da produttori che da distributori”, afferma Marco Raengo, segretario generale La Vis, che fa 100,5 milioni di euro di fatturato, per il 70% all’estero, su 55 paesi coperti da una struttura dedicata, Ethica. Spiega Raengo: “Abbiamo raggiunto una complessità tale che copriamo tutti i segmenti, dal discount all’alta ristorazione. E questo ci ha consentito in questa fase di contrazione, di proporre altri marchi, altre etichette, su differenti fasce di prezzo”.

L’unione fa la forza. E quello che ci premia è il rapporto qualitàprezzo, dicono gli esperti. La congiuntura sfavorevole si sposa alle nuove tendenze del gusto, che vedono in ripresa la moda del vino sfuso, di minor costo e pregio. Ma, sempre restando agli Usa, i francesi sfusi hanno raggiunto il 18,3% del totale di vino venduto, mentre l’Italia s’è fermata al 4,6%. Riuscendo a soddisfare le richieste di fascia più elevata con prodotti di prezzo minore: non a caso il prezzo medio di una bottiglia Made in Italy venduta negli States è di 4,9 dollari, mentre i francesi non scendono sotto i 10.

La crisi aguzza l’ingegno: “E’ un’opportunità: chi ha una marca seria, un territorio da valorizzare, una qualità da proporre al mondo, sta sviluppando modelli nuovi di business”, racconta Lamberto Gancia, amministratore della centenaria casa di bollicine di Canelli (Cuneo), nonché presidente di Federvini. E’ quello che hanno fatto le nostre cooperative, che hanno puntato a diventare grandi, ma cercando di non perdere l’identità del territorio: un valore aggiunto in termini di identità che, dicono gli esperti, rende più competitivi i nostri vini. “I piccoli vendono più dei grandi "terroir". L’identità di territorio va salvaguardata. Non è cosi ovvio che si possano fare grandi alleanze e fusioni, senza perdere l’elemento fondamentale che stai vendendo. Si rischia di fare operazioni che portano all’omologazione”, racconta l’economista Nicola Rossi, a sua volta produttore di vino nel Salento, con il marchio Cefalicchio, un’azienda biodinamica, piccola ma in crescita all’estero.

Mantenere l’identità del marchio: questo spiega le resistenze di tante cantine a unire le forze. Ma per reggere la competizione, comprimendo i costi, bisogna far perno su strutture di logistica e di distribuzione affidabili che i piccoli, da soli, non possono permettersi.

Ecco allora la nascita di nuovi tipi di alleanze, come Terre Nobili, un network appena nato tra Poliziano, Tenuta Argentiera, Bolgheri, e Lageder. “Abbiamo deciso di presentarci sul mercato insieme con una rete nostra a costi condivisi, con un agente che lavora solo per noi e non per 35 imprese, capace di conoscere e spiegare le nostre etichette come solo noi produttori siamo in grado di fare quando apriamo le porte delle nostre tenute”, racconta Francesco Mazzei, ultima generazione dei viticoltori che da oltre 600 controllano tenute storiche come quella di Fonterutoli, nel Chianti. L’iniziativa riguarda al momento solo la Toscana. Una prova generale, per sferrare poi l’attacco a tutta Italia e all’estero. Con l’obiettivo di raddoppiare le vendite in cinque anni.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024