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La Repubblica / Affari&finanza

Caffè: l’oro nero del lusso italiano ... Dopo la cioccolata Domori, il tè Dammann Frères e le confetture Agrimontana, è la volta del Brunello di Montalcino. Il Gruppo Illy, tra i principali marchi di caffè italiano, con l’acquisizione della cantina toscana Mastrojanni ha messo un nuovo tassello all’impero del buon bere e del buon gusto che sta costruendo attorno al core business: “Il mercato di alta gamma ha un tetto oltre il quale non si riesce ad andare. Per continuare a crescere avevamo due strade, introdurre miscele di qualità inferiore, oppure restare coerenti con la strategia del top di gamma e diversificare: quello che abbiamo fatto”, racconta Riccardo Illy, presidente del gruppo, che ha chiuso l’anno a oltre 300 milioni di euro, in crescita sul 2007. Non è una operazione di estensione del marchio: Illy, l’ammiraglia del gruppo, 280 milioni di giro d’affari, mantiene la sua identità specifica, ma cementa il portafoglio di brand con l’aura che s’è creata attorno al caffè italiano. “Da bevanda frettolosa, è diventato qualcosa di più, da conoscere e da assaporare, e anche da pagare molto più di prima”, commenta Luca Scolta, analista di Sanford C. Bernstein, con sede a Londra, osservatorio privilegiato delle nuove tendenze. Il caffè è diventato l’emblema di un nuovo stile di vita, dove il lusso e il piacere si intrecciano, dando vita a un modello di promozione sociale fatto di beni piccoli, ma dal valore simbolico molto forte. Dacci oggi il nostro lusso quotidiano, è la filosofia di vita divulgata da Trading up, Why Consumers Want New Luxury Goods, and How Companies Create Them, best seller mondiale di Michael Silverstein, senior partner e direttore generale di Boston Consulting Group. Ieri era l’automobile. Oggi lo status symbol è il caffè.
E’ stata Starbucks a creare nel mondo una nuova sensibilità e una nuova cultura del caffè: fondata negli Usa, ma da un’idea venuta al fondatore, Howard Schulz: passeggiando per le vie del centro di Milano, cuore dei bar e caffè all’italiana, ha creato gli "atelier" del caffè. Oggi tocca a Nespresso, della svizzera Nestlè, lanciare una nuova moda, le cialde e lo stile di vita che rappresentano. Cambia il prodotto, il modo di fruizione. Resta il carico di “marketing esperienzale”, come lo chiamano gli esperti, che lo spot tv racconta con la ragazza che non ha occhi che per la cialda, che oscura persino il fascino di George Clooney.

Il cuore del mercato è sempre l’espresso, simbolo del Made in Italy che, nonostante la crisi, continua a solleticare l’immaginario dei consumatori internazionali. “Il mio ‘è Tricaffè’ sulle navi della Costa Crociere si vende a 4 euro a tazzina, mentre il caffè normale è gratis, compreso nel pacchetto di viaggio: eppure le caffetterielounge di bordo non segnalano flessioni”, racconta Giancarlo Aneri, il principale artefice del successo delle bollicine Ferrari, di cui ha curato per decenni il marketing. Oggi ha un suo brand di caffè: “Una supernicchia nell’alto di gamma, tra gli unici tre tostati in legno di acero che si fanno in Europa”. Si vende nei ristoranti ed enoteche più esclusive del mondo e, come i suoi vini, è nella lista del Quirinale. Un segno chiaro della presa che certe griffe del gusto hanno sul mercato. Molto più forte delle griffe del fashion. “Al Four Seasons hotel di New York, il ristorante più importante degli States, a una cena tra Bush, Clinton e l’ex segretario di Stato, Colin Powell hanno voluto il caffè, italiano, nel menù, come un vino esclusivo”, racconta Aneri. Un tempo il vino si beveva in caraffa, ora c’è chi chiede un Krug per lo champagne, e un Caprai per avere un Sagrantino. Adesso è la volta del caffè. E nelle guerre per la supremazia del mercato, i marchi salgono e scendono, come nelle classifiche del campionato. “Fino agli anni ’90 era secondo a Lavazza, poi il Caffè Mauro ha subito una battuta di arresto per problemi di successione generazionale, il tallone d’Achille delle imprese di famiglia italiane. Oggi, stiamo riposizionando il brand e vogliamo lanciare l’azienda anche nel settore delle cialde, rafforzando l’export in 5 paesi chiave, sui 35 coperti: Usa, Russia, Giappone, Israele, Gran Bretagna”, racconta Fabrizio Capua, già Ceo della Socib, imbottigliatore della Coca Cola, oggi amministratore delegato di Demetrio Mauro, azienda storica di Reggio Calabria, di cui ha rilevato una quota attraverso la neonata società Independent Investment, specializzata in finanziamento di brand del made in Italy dalle grandi potenzialità.

L’attacco all’alto di gamma della Mauro fa leva su forti investimenti in ricerca e sviluppo e sulla creazione di una Accademia del caffè, dedicata agli operatori del settore: progetto ambizioso per mettersi al passo con l’Università del caffè di Illy. E infatti se Illy oggi realizza all’estero quasi la metà del suo fatturato è anche grazie agli Illy Caffè, atelier del gusto che sono riusciti a ricreare la cultura dell’espresso anche a Pechino.
Il caffè, materia prima più scambiata al mondo dopo il petrolio, non è rimasto indenne alla speculazione, e il carotazzina ha fatto registrare una flessione dei consumi al bar. Ma i produttori rilanciano, puntando su nuove idee, prodotti innovativi che contribuiscono ad allargare il mercato. Illy ha siglato un accordo con la Coca Cola, per Illissimo bibita pronta a base di espresso. Aneri ha lanciato al Vinitaly di Verona, Caffè 21, blend di caffè e Aqua 21, il soft spirit d’uva creato dal produttore di grappe veneto Roberto Castagner, altro famoso innovatore di prodotto.
Ma al centro resta la qualità della materia prima: “I produttori italiani sono famosi per l’etica, la social responsability, sono disposti a pagare di più la materia prima, pur di non rinunciare alla qualità”, racconta Ivo Ferrario, direttore comunicazione di Centromarca, associazione italiana dell’industria di marca.

Il risultato? Il mercato continua a crescere. Globalmente preso, in Italia si stima un mercato di 1 miliardo di euro, pari a oltre 264.000 tonnellate di prodotto. Secondo le valutazioni del Comitato Italiano caffè, il nostro paese si colloca al secondo posto alle spalle della Germania nella graduatoria dei maggiori esportatori di caffè torrefatto, sfiorando i 2 milioni di sacchi. Gli sbocchi più importanti per le esportazioni del caffè torrefatto italiano sono come sempre i paesi comunitari che assorbono oltre il 75% delle nostre esportazioni (soprattutto Francia e Germania); poi gli Stati Uniti e l’Australia. E si registra una significativa espansione nei Balcani e nell’Europa orientale. Ma anche chi resta entro i confini domestici, continua a mettere a segno buoni risultati. Come il caffè Trombetta, storico marchio romano, che ha chiuso l’anno con un incremento record del 12%. Ancora saldamente in mano alla famiglia Trombetta, che l’ha fondato, e che delle atmosfere di Roma ha fatto un volano per una campagna ad hoc.

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