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La Repubblica / Affari&finanza

Cesari passa dal Canada per conquistare l’America ... “Questa acquisizione ci consentirà di inserirci all’interno della particolare catena distributiva canadese, tramite RKW potremo quindi anche favorire l’ingresso in Canada di altri vini italiani, agendo da collettori e promotori dei migliori marchi del vino Made in Italy. Desideriamo ripetere la positiva esperienza portata avanti nella regione del Quebec, che ci ha dato ottimi risultati. Ci prefiggiamo infatti l’obiettivo di essere tra cinque anni tra i primi player della distribuzione in Ontario”. Gianmaria Cesari, 34 anni, una laurea in economia e un Mba, Master in Business Administration conseguito in Usa, è l’amministratore delegato dei produttori di vino “Umberto Cesari”, giunti alla terza generazione: per emiliani e romagnoli un marchio sinonimo del vero Sangiovese, quello che in Emilia Romagna da decenni si compra nelle occasioni speciali, quando si dice “prendi un Cesari”, come si direbbe prendi un Dom Perignon per intendere uno dei migliori champagne. A inizio novembre il “re del Sangiovese”, come viene chiamato, ha acquisito la Rkw, azienda di distribuzione di alcolici con base a Toronto e un fatturato di 6 milioni di dollari canadesi. Operazione condotta in porto insieme al partner storico Daniel Richard, proprietario della Univins, agenzia di distribuzione con sede a Montreal che rappresenta 97 marchi di tutto il mondo, ed è agente in esclusiva del marchio Umberto Cesari per il Quebec. In vista c’è un’ulteriore crescita su questo mercato, dove già oggi il gruppo rappresenta il 35% dei vini italiani sopra i 20 dollari canadesi, primo in questo segmento. “La qualità arriva dalla terra, non esiste l’enologo mago, il guru che trasforma l’uva cattiva in vino buono. La base del nostro modesto successo all’estero è che ci collegano a un territorio, riconoscono la varietà Sangiovese come un marchio proprio”. La sfida vera l’azienda bolognese l’ha vinta portando il proprio vino fuori dai confini regionali, convincendo il mondo delle potenzialità dell’Emilia Romagna, terra capace di sfidare altre zone molto più famose dal punto di vista della viticoltura italiana, come la Toscana, dove il Sangiovese si è fatto conoscere in tutto il globo sotto i nomi di Brunello o Chianti. Il risultato? È scritto in The Broker, best sellers del giallista americano John Grisham, dove il Liano di Castel San Pietro, una delle etichette di punta dei Cesari, viene menzionato come fantastico. Un’identità costruita pian piano ma con strategie mirate: una crescita basata sull’acquisizione di nuove tenute solo ed esclusivamente basate in Emilia Romagna; la scelta di affidarsi a un pool di enologi locali; lavorando, in tandem con l’Università di Bologna, sulla selezione dei cloni della zona. Un brand di territorio, insomma. Un modello di business che ha funzionato: oggi con 4 tenute, 150 ettari vitati di proprietà più 5 in affitto, 2 milioni di bottiglie l’anno, la Umberto Cesari vende in 60 diversi paesi. Ma il più strategico dei mercati è l’America, dove, tra Usa, Canada e Caraibi realizza il 70% delle vendite. In questa fase di crisi, che pure ha colpito duramente i consumatori d’Oltreoceano, l’azienda punta a investire proprio sul Nord America, baricentro dell’economia mondiale, il termometro dei consumi. Negli Usa i consumatori comprano sulla base del vitigno. Il vitigno, indipendentemente dalla zona di produzione. Negli Usa, infatti, a parte qualche cantina di eccellenza, i vini si somigliano tutti: “Uno Chardonnay dell’Oregon e uno di Seattle sono esattamente uguali”, commenta Cesari. Lo chardonnay, dicono le rilevazioni di Iwfi, International Wine & Food Institute, è in testa tra i consumi. Ma la considerazione vale per tutti gli altri vitigni. Di questo trend si sono avvantaggiati molto negli ultimi dieci anni gli Australiani che hanno dato il via a una massiccia coltivazione di vitigni diversi, in molti casi cloni degli autoctoni italiani, ma venduti a prezzi molto pi bassi. I produttori italiani più illuminati sono partiti al contrattacco, puntando tutto sulla specificità di sentori legati alla diversità del suolo, del microclima. Una strada che premia, anche per i ritorni in termini di turismo enogastronomico, come prova il caso del Brunello, divenuto un marchio al pari di Armani. La sfida dei Cesari è andata oltre: trasformare in brand il “Sangiovese dell’Emilia Romagna”. Così unico che Il Tauleto, etichetta top dell’azienda, ha colpito Marco Maffei, famoso creatore di essenze, che ha convinto l’azienda a farlo diventare la base di un profumo che oggi si vende in 80 profumerie d’Italia. Il primo di una linea di cosmetici basati sul vino che si vendono anche in 15 Spa, destinate a diventare 100 entro 5 anni. Una nuova divisione di business, seguita dalla sorella Ilaria. Il segno di come innovazione e tradizione possano convivere. Il rispetto della vigna, infatti, procede di pari passo con la tecnologia e la Umberto Cesari investe ogni anno in ricerca il 7% del fatturato, complessivamente attestato attorno ai 20 milioni di euro. Studi e ricerche per ottimizzare la produzione senza rinunciare alla qualità, basata su una selezione drastica delle uve, che nel Tauleto, per esempio, arriva a soli 2-3 grappoli per pianta. Ma importante è anche il controllo dell’intera filiera, uno dei perni su cui si basano economie di scala destinate a ridurre i costi e ampliare i profitti in un settore dove, come segnala l’annuale report di Mediobanca, i margini sono il principale tallone d’Achille.

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