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La Repubblica / D

La sinistra fa acqua, meglio il vino ... Carlo Petrini, furente ma con giudizio, chiede “più creatività contro la carestia delle idee” e difende i diritti universali (“il buono e il bello”). Il Pd invece, “o cambia o muore”... Sicurissimo che prima o poi la rivoluzione apparecchierà il suo pranzo di gala, Carlo Petrini, 61 anni, fondatore di Slow Food e Terra Madre, mangia lento e parla veloce rivendicando la sua austera anarchia di contadino del Basso Piemonte e di alta tradizione dialettale. Se ne sta seduto sulla terrazza di una trattoria al Testaccio, ai bordi della politica italiana, e guarda il paesaggio dei Palazzi romani con sguardo trasversale. Annusa il profumo di biancospino nel calice di bianco (“che belle spalle ha questa beva”). Sorseggia. Ordina polpette di bollito, elogia la cucina degli avanzi. Non incidentalmente deplora la sinistra dove i bolliti non solo persistono, ma pure avanzano. È furente, ma con giudizio. “Possibile che neanche sulla privatizzazione dell’acqua abbiano qualcosa da dire quelli del partito democratico? E sul nucleare? E sulle energie rinnovabili? E sull’anima dei popoli, sulle lingue materne, sulle tradizioni da difendere contro l’omologazione?”. È irritato: “Ma non c’è un trentenne con gli occhi svegli che possa prendere in mano la sinistra, e scaldarle il cuore?”. È pedagogico: “Qualcuno capace di spiegare che tutto è collegato: l’agricoltura e la salute, il cibo e la cultura, la ricchezza dei pochi e la fame dei troppi”.
Prepara, nella smemorata Italia, granai della memoria. Rivendica l’intelligenza contadina come antidoto all’ottusità dei banchieri. Contesta chi misura la felicità in Pil. Chiede creatività contro la carestia di idee. Chiede battaglie trasversali contro la pervasività delle multinazionali. Dice: “Loro parlano il linguaggio unico del potere e del profitto. Io devo parlare con i contadini baschi, i pescatori siciliani, gli allevatori francesi. E provare a schierarli contro la Monsanto che adesso vuole brevettare persino i prosciutti”. Dice: “Urge, urge, urge che in Europa le associazioni come la nostra, come Greenpeace, trovino un linguaggio comune contro il potere soffocante delle multinazionali che stanno trasformando il nostro mondo nella loro fabbrica”. Si stupisce che nella disarmata Italia siano scomparsi i Verdi, che poi sarebbe l’iniziale occasione di questa nostra conversazione sull’ambiente e il suo degrado planetario. Dice: “ Le confesso che non ci avevo più fatto caso”.

Già questo è significativo.

“Ha ragione”.

Niente più rappresentanza parlamentare, ma sparse roccaforti nella verde Italia dei condoni, delle discariche e dell’imminente nucleare.

“Dov’è finito quel loro portavoce?”.

Quale tra i molti ultimi?

“Quello che era ovunque in tv”.

Alfonso Pecoraro Scanio.

“Ah, ecco. Che fine ha fatto?”.

Sparito, ammutolito, indagato.

“Andiamo bene”.

Siamo in controtendenza rispetto all’Europa, dove i Verdi crescono e contano parecchio. Secondo lei perché?

“Miopia culturale. Irritante pollaio politico con litigi continui al loro interno”.

E all’esterno?

“Il bipolarismo li ha stritolati, spiazzati, espulsi”.

Non c’è rimpianto nelle sue parole.
“Non voglio essere frainteso, parlo soltanto di un personale politico che non ha retto la sfida. Per fortuna i temi dell’ambientalismo hanno altre strade per sopravvivere”.

Voi siete una di quelle strade.

“Strada sorprendente, 100mila iscritti, sedi in 25 paesi, un orto alla Casa Bianca, se consente l’autoelogio. E soprattutto: strada trasversale”.

Destra e sinistra non fanno più differenza?

“La fanno in generale, nelle scelte di fondo, e molto nelle chiacchiere. Forse un po’ meno nella qualità della vita quotidiana e materiale, che vuol dire zucchine non Ogm, latte a chilometro zero, aria senza diossina. In quanto a me, io Carlin Petrini nato a Bra, provincia di Cuneo, sono e mi dichiaro di sinistra, nipote del fondatore del Partito comunista in Piemonte nell’anno 1921, lettore di Gramsci, eccetera”.

Se è per questo anche fondatore del Partito democratico.

“Lo ammetto”.

Se n’è pentito?

“Le rispondo così: sì, no, non lo so. Vedo un sacco di confusione, timidezze, occasioni clamorosamente perse”.

Per esempio?

“La battaglia contro la privatizzazione dell’acqua: 500mila firme raccolte in tre settimane. Lei ha sentito qualcuno del Pd occuparsene per dawero, aprire un banchetto, indire una manifestazione di protesta? Eppure si tratta di una battaglia sacrosanta, elementare”.

Il candidato di D’Alema contro Vendola in Puglia era favorevole alla privatizzazione dell’acquedotto.

“Infatti le primarie l’hanno cancellato di corsa. Mi domando se un partito giovanissimo, anzi appena nato, può reggersi su una classe dirigente così vecchia”.

Basterebbe chiederlo alla base e non alla sua classe dirigente: possibile?

“Non con l’urgenza che servirebbe, purtroppo”.

Quindi?

“O cambia o muore. Nel Pd pensano di essere furbi, esibiscono Realacci contro il nucleare e Veronesi a favore, pensando in questo modo di soddisfare tutto il mercato politico. Ma accade il contrario, scontentano tutti”.

Parliamo del cambiamento.

“Intanto si devono capire le nuove sfide. Prenda i due secoli passati. Prenda le grandi bandiere della sinistra: il suffragio universale, i diritti delle donne, i diritti dei lavoratori, la scuola pubblica. Oggi qual è la nuova bandiera universale nelle nostre democrazie? Il diritto al buono e al bello”.

Vi accusano di badare al superfluo.

“Errore clamoroso. Cecità. Cattiva coscienza. Arretratezza culturale”.

Di essere incantati dalle élite.

“Balle. Non siamo più ai tempi di Tommaso D’Aquino, quando si fissava l’antinomia tra il necessario e il superfluo. Sono passati otto secoli. Il buono e il bello sono diventati diritti universali. Mangiare bene non vuol dire mangiare caviale, ma sano e pulito. Non stiamo parlando di bere a tre stelle, ma del diritto ad acqua pulita e pubblica, e volendo anche vino non chimico e locale. Da qui discende tutto il resto”.

Sarebbe a dire?

“La cura della buona agricoltura. La tutela delle risorse. La difesa del proprio paesaggio: le piazze, i campi coltivati, i campanili contro l’obbrobrio dei Centri commerciali e delle periferie. Paesaggio e risorse vogliono dire coltivare le proprie tradizioni. Cioè le radici della memoria e dell’identità. Perché senza quelle non si va e non si resta. Si vola via”.

Lei ha proposto i granai della memoria.

“Vorrei distribuire mille telecamere a mille contadini chiedendo a ognuno di loro di registrare la propria storia, quella della loro famiglia, della comunità. Registrare. Archiviare. Distribuire: senza il nutrimento della memoria non si cresce”.

È un discorso che piacerebbe assai alla Lega.

“Gramsci difendeva i dialetti molto prima di Bossi, le chiamava le lingue materne. E sapeva quanto interscambio ci fosse tra la loro molteplicità e la nascita della lingua nazionale”.

Quindi?

“A differenza della Lega a me non interessa codificare i dialetti, insegnarli nelle scuole. Con la scempiaggine dei professori regionalizzati. Mi interessa tenerlo vivo, parlarlo, ascoltarlo. Sapendo che i 10mila macedoni che oggi vivono in Piemonte prima o poi infìleranno delle loro parole nella mia lingua materna e faranno pure un buon Barolo, magari il Barolo Pandev”.

Parentesi: dopo il divorzio dal Gambero Rosso state per fare la vostra nuova guida dei vini, è vero?

“Stiamo per fare un sacco di cose: orti in Africa e a Central Park, orti nelle scuole italiane, campagne di lotta in europee, convegni internazionali per mettere in rete le comunità. Prepariamo battaglie, ma non abbiamo intenzione di dimenticarci delle bottiglie. La guida si chiamerà Slow Wine, storia di vita, di vigne e di vini, Ma volevo dirle ancora una cosa sulla Lega”.

Sulla Lega in relazione alla sinistra?

“È un avviso ai naviganti. La Lega fino a ieri ha cavalcato il localismo in senso anti-sistema. Ora sta assorbendo la cultura di governo. Quando passerà dal localismo al pensiero globale per la sinistra saranno guai”.

Parla per esperienza?

“Certo. Vedo come si muovono sul territorio i Cota in Piemonte, gli Zaia nel Veneto, sono fatti di terra, hanno radici, sanno ascoltare. Noi stiamo ancora lì con il povero Fassino e la Mercedes Bresso, non mi faccia parlare”.

Dicono che la signora Bresso abbia rinunciato al ricorso sulle presunte irregolarità elettorali in cambio della riconferma a Presidente del Comitato europeo delle Regioni.

Ride, mastica. Dice: “Assaggi queste polpette e parliamo di cose allegre”.

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