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La Repubblica / Viaggi

Vivere Slow ... Un’oasi in aeroporto... I tre “Wine Bar dei Frescobaldi” a Fiumicino trasformano l’attesa al terminal in un piacere. E il made in Italy sconfigge il cibo senza identità... Roma, aeroporto di Fiumicino, terminal partenze internazionali: tre austriaci si siedono a un bancone e chiedono un bicchiere di vino. Sono le nove del mattino ma per loro sarà normale così. Pochi istanti dopo dal bancone arriva qualche pezzo di buon parmigiano e del prosciutto appena affettato. Per loro questo è sicuramente meno normale: sorridono, assaggiano, s’informano sulla provenienza dei prodotti. “Benvenuti da noi” mi viene da pensare: un piccolo gesto che trasmette più di mille parole; un boccone di convivialità improvvisata che trasforma l’ambiente circostante. Non è più un aeroporto qualsiasi. Siamo in Italia. Finalmente qualcosa di diverso dalle catene internazionali dell’omologazione alimentare che traboccano negli aeroporti di tutto il mondo. Quei non-luoghi per eccellenza, dove vivere slow è impossibile, anche se si va piano, sempre fermi o in coda nel regno dei viaggi fast. Luoghi in cui spesso ci si trova a passare ore per i ritardi dei voli (soprattutto a Fiumicino) o connessioni un po’ balzane. Quel bancone a Fiumicino in effetti non è un bancone qualsiasi e meno male che sta lì a salvare il viaggiatore anestetizzato da stimoli pubblicitari e gastronomici da pollo in batteria, mentre dà il benvenuto a chi arriva da fuori. È la creatura di Anacleto Bleve, che gestisce i tre “Wine Bar dei Frescobaldi” nati nello scalo romano. Il primo nel Terminal 1 (1B), creato come scommessa vicino alle partenze per Milano, poi il successo e l’apertura degli altri due al Terminal 3 (3C e 3H). Ma Anacleto Bleve e sua moglie Tina non sono gestori improvvisati. Loro, i figli e la truppa di ragazzi (sono quasi cinquanta) che seguono il progetto sono l’ultimo atto di un percorso nato nel cuore di Roma più di quarant’anni fa. Quando Anacleto aprì il suo primo “vini e olii” nel cuore del Ghetto e poi la “Bottega del Vino”, in via di Santa Maria del Pianto, che è stata per giornalisti e appassionati palestra di assaggi e scoperte. Forse un po’ anche grazie a lui oggi si scrive così tanto di cibo e di vino. La formula era semplice quanto geniale, allora: selezionare prodotti per unirli fra loro e abbinarli al vino. Una grande bresaola, un formaggio di capra, la nocciola e un bicchiere di bianco diventavano un grande piatto. Era “l’enotavola” quando ancora non ne parlava nessuno, una cucina fredda che offriva spesso molti più spunti delle tante trattorie del centro. Un patrimonio, a ripensarci oggi, che i Bleve hanno ben amministrato fino ad aprire, vent’anni dopo, quella che amano associare al loro nome con l’appellativo di Casa. “Casa Bleve”: grandi sale bellissime, a due passi dal Senato, in via del Teatro Valle, dove si conservano e si consumano i migliori vini italiani accanto a grandi prodotti. Lo spirito è sempre lo stesso: piatti semplici, abbinamenti originali, attenzione al gusto, alle origini e alla convivialità. Nulla è cambiato eppure sembra ancora tutto attuale, forse proprio perché la formula è stata inventata qui. E a Fiumicino, anche se ovviamente piatti e prodotti sono semplificati, lo spirito di “Casa Bleve” è sempre nell’aria. È così che accanto a una caprese, alla mozzarella con le alici o al piatto di culatello si continua a respirare un’atmosfera diversa, capace di cambiare l’attesa in aeroporto, attutire quel senso di smarrimento da non-luogo e trasferire in un boccone coordinate geografiche e contesto. L’aeroporto per un attimo scompare e ci vuole così poco per viaggiare slow, anche se l’aereo non ne vuol sapere di partire.

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