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La Repubblica

Profumo di mosto, anzi di hi-tech benvenuti nella cantina griffata: il re del Barbaresco sbarca sulla costa toscana. Con una nuova azienda destinata a fare tendenza. Vino a cinque stelle? Oggi il merito è anche dell´architetto ... State lamentandovi per la vendemmia? Lui vi dirà che dopo sette anni di annate eccezionali non si vedeva l´ora di un´annata normale, come questa. Altro che John Reed con il suo: non piangete, organizzatevi. Siete preoccupati per la crisi? Lui vi risponderà che qui si è già pronti per il terzo millennio, che in Maremma, zona finora poco sfruttata, nei prossimi sette anni verranno costruite un centinaio di nuove cantine. E vi darà appuntamento all´alba davanti a un pezzo di futuro atterrato nell´antichità. Il bello è che ai comandi dell´astronave non troverete un giovane marziano, cresciuto nel nuovo, ma un lupo di collina, che dalla nebbia e dalle zolle delle Langhe è sceso al mare. Ca´ Marcanda si chiama la nuova azienda in Toscana di Angelo Gaja, re del Barbaresco e dei grandi rossi, il nome italiano più conosciuto all´estero. Gaja è quel signore piemontese che quando nell´85 l´americano Robert Mondavi, 50 milioni di bottiglie l´anno, si presentò con due avvocati per concludere una joint-venture chiese: mi spiega come facciamo a fare l´amore lei che è un elefante e io che con 300 mila bottiglie a stagione sono un moscerino? Non se ne fece più niente, perché certi paragoni magari non c´entrano, ma danno benissimo l´idea. La nuova idea è questa qui: 72 ettari di terreno, più altri 45 che si sono aggiunti, una cantina tecnologica di 8.000 metri quadrati, costruita ex novo dall´architetto Giovanni Bo di Asti, un lavoro iniziato nel '98 e terminato quest´estate dopo 8,5 milioni di euro. E allora, direte voi, dove sta la novità, visto che ormai è di moda e gli architetti dopo aver disegnato chiese, stadi, navi, spazzolini da denti, si stanno dedicando alle cattedrali del vino? La novità è che qui il vino tornerà ad essere una messa per credenti e non una festa per turisti. «Il prodotto e la qualità stanno nella bottiglia, per lavorare bene ci vuole concentrazione». C´è troppa confusione, dice Gaja, anzi oggi sul vino c´è un eccesso di comunicazione che non fa più bene, è diventato quasi come il calcio, affonda nel pettegolezzo e deve anche subire l´invasione dei politici e dei finanzieri d´assalto. «Però l´assurdo è che Bruxelles da dieci anni chiede all´Italia quale sia la sua superficie vitata, senza ottenere risposta e adesso il termine per i contributi sta scadendo. Un´altra vergogna: tutti quest´anno visto il maltempo corrono a dare consigli ai produttori di vino, raccomandando la moderazione dei prezzi. Ma bravi, sembra che il mercato abbia rallentato per colpa di quelli del vino, peccato che non abbia mai sentito dare simili avvertimenti all´industria della moda, del tessile, delle scarpe, degli occhiali». Gli altri si aprono, vanno in tv, sgomitano per farsi vedere, esigono la luce dei riflettori. Lui invita ad andare più in là.
Ca´ Marcanda sarà vietata ai visitatori. Non andateci, perché l´ingresso è proibito. Non chiedete di visitarla, «perché qui si lavora, niente rompiscatole». Gaja a Barbaresco ha già cacciato la Bbc che voleva filmare i vigneti offesi dal maltempo. «Dov´era la Bbc quando le cose andavano bene, che razza di voyeurismo è quello sulle disgrazie?». Non fate domande sull´inaugurazione, non ci sarà, «perché il rito delle feste non ci appartiene». Non chiedete di comprare via internet, perché la rete distribuitiva di Gaja è affidata al vecchio sistema dei rappresentanti e dei ristoratori. E soprattutto preparatevi ad andare in un sottoterra moderno, grandioso, tecnologico. Non povero, ma essenziale, anzi funzionale. Pavimenti termoriscaldati e impianti radianti per raffreddare: così in un salone ci sono 17 gradi e nell´altro 12, con un sistema a tre volumi per far circolare continuamente l´aria i locali di fermentazione sono alti sette metri. Scordatevi la muffa, il buio pesto, la nostalgia, l´odore del grappolo, lo sporco per terra, la vecchia foto dei nonni appesi al muro e dire che Gaja potrebbe appendere anche quella del bisnonno, visto che la sua famiglia fa vino da molte generazioni. Lasciate ogni speranza voi che entrate, pronti a respirare l´atmosfera del piccolo mondo antico, perché qui l´anima e la conoscenza sono a servizio della tecnologia, dell´ambiente, della praticità e del risparmio. Sì, questo per la sua spartanità è un Medioevo moderno. E niente cedimento alle mode. Quattrocento piante di ulivo, la maggior parte delle quali secolari, sono state trasferite attorno alla nuova cantina. «Ma noi non produrremo olio di oliva, le olive saranno date ad un frantoio della zona, noi continueremo solo a fare vino, rosso naturalmente».
Innanzittutto il nome. La proprietà si chiamava Santa Teresa, apparteneva alla famiglia Pavoletti che però non voleva saperne di venderla. Ogni volta che Gaja tornava sconfitto dalla moglie, a dirle che non era riuscito nell´impresa, il suo commento era: ca´marcanda, caro Angelo, che in dialetto significa non ne caverai mai niente. Invece un giorno i Pavoletti hanno ceduto e finalmente Angelo dalla colline di Barbaresco è sceso fino al mare, a questo orizzonte blu «che mi emoziona», dove ha costruito questa cantina nuova che non rovina il paesaggio e dove ha scelto nomi che non sanno di superiorità: «Magari», «Promis», «Ca´ Marcanda». Ma soprattutto dove vi mette in mano l´elenco dei prestatori d´opera, più di settanta, «anche se a molti questa cosa non piace, c´è chi mi ha tacciato di arroganza, come se io volessi sfidarli a farne una altrettanto bella». E dove da buon piemontese non vi nasconde che i pilastri portanti della cantina sono in tubi di ferro che derivano da una pipe-line dismessa in Romania, «per questo il prezzo è stato molto conveniente».
Diavolo di un uomo, nel vino aveva alle spalle tradizione e fama, eppure si è lasciato prendere per mano dall´architetto Bo che gli ha detto: «Lei deve capire lo spazio». E così Gaja, il produttore di vini più conosciuto all´estero, quello che viene pagato per andare alle convention, come le chiamano lì, per spiegare agli americani «come si fa», invece di mandare a quel paese l´architetto è andato. Alla Biennale di Venezia, e poi in altri musei. A studiare, a guardare, a capire. E tornando ha deciso che la sua cantina doveva essere nuda e cruda. Bella e utile per chi ci lavora. Agli altri solo la bottiglia.


La curiosità: Rossi d´autore, lavori in corso anche per Botta

Anche l´architetto svizzero Mario Botta è in Toscana, per costruire la sua prima cantina. La località è San Lorenzo Alto nel comune di Suvereto, Livorno. La nuova cantina, chiamata Petra, è stata acquistata dall´imprenditore Vittorio Moretti nel febbraio 1997, con l´intento di produrre vini rossi di grande pregio. Il progetto di Botta si presenta con la forte immagine plastica di un cilindro in pietra sezionato con un piano inclinato parallelo alla collina e due corpi edilizi porticati ai lati. «Una reinterpretazione delle antiche dimore di campagna toscane», spiega l´architetto.

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