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La Repubblica

Benvenuti alla Borsa del vino. E domani in tutt´Italia il via a "Cantine aperte": per visitare le grandi fattorie e farsi un´idea sugli investimenti possibili. Mille grandi regni delle etichette italiane svelano i propri segreti agli appassionati ... Cantine aperte, ovvero, come muovere oltre un milione d´italiani verso i luoghi del vino. Dove tra assaggi di prodotti tipici e degustazioni più o meno gratuite (ma i ticket costano pochi euro), domani il popolo di laici e santi bevitori vivrà la sua domenica di godimento (www.movimentoturismovino.it). Ma tra le mille cantine pronte a mettere in mostra botti grandi e barrique d´affinamento, allineate come ballerine di prima fila, il fermento non è solo una prerogativa delle uve: i produttori fremono per trovare nuovi modi di cavalcare uno dei business del terzo millennio, rischiando il meno possibile, e cercando di ridurre lo «scoperto» di investimenti spesso massicci e capaci di fruttare solo nel lungo periodo. Così, la scorsa settimana, al convegno «Il vino come bene d´investimento», a San Casciano val di Pesa, è stato annunciato uno studio sulla possibilità di quotare prodotti finanziari legati al vino italiano di qualità. Nulla di davvero definito, se è vero che i tempi per una proposta concreta sono slitatti al prossimo autunno. «L´obiettivo è rendere disponibili prodotti finanziari che soddisfino da una parte i produttori, consentendo loro di reperire risorse in modo alternativo, dall´altra gli investitori, che avranno così l´opportunità di effettuare investimenti oggi difficilmente accessibili», spiega Valentina Sidoti, funzionaria di Borsa Italiana Spa. Se le intenzioni sono ottime, la messa in pratica è ancora vaga. Oggi, in Italia, esistono solo prodotti non quotati, emessi da alcune cantine o dalle banche. Del resto, la stessa Borsa di Parigi non è stata ancora in grado di lanciare in maniera soddisfacente il «future» Winefex, costituito su un ventaglio di etichette di Bordeaux. Ancora diverso il discorso sugli Champagne: quasi tutti i più conosciuti marchi di bollicine sono delle holding, dalla «Lvmh» di Bernard Arnault (Chateau D´Yquem, Moet & Chandon, Veuve Clicquot, Krug, Pommery, Hennessy, Hine, Dom Pérignon, etc...) a Boizel Chanoine Champagne (Philipponnat, De Venogne, Bonnet), Pol Roger e Vranken Monopole (con i marchi Demoiselles e Charles Lafitte). In Italia, le uniche aziende che in qualche modo praticano la Borsa sono i Tenimenti Fontanafredda, di proprietà del Monte dei Paschi di Siena, una delle società più capitalizzate della Borsa italiana, e la casa vinicola Santa Margherita, che fa parte del gruppo veneto della Industrie Zignago Santa. A livello di superbottiglie, il vero metro di valore dei nostri vini è costituito dalle aste mondiali (oltre 200 ogni anno). Ma sono esperienze limitate, se è vero che a fronte delle 50 etichette di sponda francese (l´1% della produzione), quelle italiane battute in media non superano la decina (cioè l´1%). In attesa che il legame tra vino e finanza decolli, entro fine anno verrà varato il primo Master in Business Administration, dedicato a imprenditori e consulenti del vino, a cura della Mib School of Management di Trieste. Noi, domani, ci accontenteremo di bere bene, magari visitando i produttori in bicicletta, secondo la nouvelle vague del cicloturismo enologico. Che prevede itinerari meravigliosi e degustazioni moderate: pena smaltire gli eccessi nel primo fosso dietro la cantina.

L´intervista - Filippo Mazzei, produttore di grandi rossi toscani: "La finanza non fa per noi preferiamo la tradizione"

Filippo Mazzei, amministratore delegato con il fratello Francesco della «Marchesi Mazzei Spa», 650.000 tra le migliori bottiglie di rossi toscani, in tema di borsa è un enoscettico.

Perché non credete nei futures?

«Perché quando produci poco, devi privilegiare i clienti. In Francia gli Chateaux non sanno a chi arrivano i vini, né gli interessa. Noi selezioniamo i clienti: con i futures diventa più complicato».

Eppure qualche anno fa avete ceduto alla tentazione.

«Qualche prova l´abbiamo fatta, per capire se funzionava. In quanto a tentativi, c´è stata anche la vendita su Internet. Ma parliamo di piccoli numeri».

Il fascino del «future», però, è innegabile.
«Io pianto una vite oggi: comincerà a rendere, da un punto di vista di vino venduto, tra otto anni. L´intensità dell´investimento e l´immobilizzazione dei capitali è tale che la voglia di rientrare di un po´ di denaro per tempo è fisiologica».

C´è una motivazione etica, dietro questo no?
«Produrre per produrre a noi non basta, anche perché siamo una famiglia, non un impero. Se andiamo domani alla Coop, si vende tutto. Ma perderemmo la nostra identità».

Quali sono le vostre operazioni finanziarie?
«Del tutto tradizionali. Sei anni fa, abbiamo acquisito 30 ettari di vigneti in Maremma. Li abbiamo reimpiantati e l´anno scorso abbiamo comprato altri 40 ettari. L´obiettivo è fare quasi mezzo milione di bottiglie, tra cui poche migliaia di "SuperMaremmans" e due etichette di vini eccellenti, un Morellino e un Igt, a 20 euro la bottiglia. Nessun "future" può eguagliare la soddisfazione di quest´avventura».

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