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La Repubblica

2004, la vendemmia può attendere sarà l’anno di un grande Barolo … Il tempo della rivincita sta per arrivare. Hanno impiegato un anno intero, i vignaioli delle Langhe, a smaltire il dispiacere di una vendemmia senza pietà, l’ultima, che ha obbligato la maggior parte di loro - i più sfortunati, in alcuni casi i più onesti - a lasciar vuote botti e barriques destinate ad accogliere il re dei vini italiani. Perché uno dei grandi vanti di chi produce Barolo, il nettare delle uve Nebbiolo coltivare in un fazzoletto di vigne raccolte intorno a 11 micro comuni della provincia cuneese, è che si tratta di un vino pressoché autogestito: non c’è enologo che possa andare oltre quanto di meraviglioso matura in vigna. La siccità dell’anno scorso non aveva dato scampo alle uve. Per assurdo, se ne erano avvantaggiati i cosiddetti “secondi vini”, gli assemblaggi, mai tanto ricchi e preziosi. Ma quest’anno, se il Dio della vite sarà pietoso e regalerà ancora giornate asciutte da qui a fine mese, botti e barriques torneranno a lavorare a pieno regime, per cullare una grande annata di Barolo.

A sorridere e incrociare le dita, non sono solo i piemontesi. Dall’Alto Adige alla Sicilia, è tutto un mormorare scaramantico per non attirarsi le ire di Giove Pluvio. Una stagione così - estesa dall’inverno a questi ultimi giorni - la si può solo sognare nelle notti più lievi e ispirate: poche gelate, giuste dosi primaverili di pioggia, estate asciutta, calda senza impazzimenti del termometro, serate fresche, albe rugiadose ma non umide. Insomma, difficile immaginare vigne più contente (e i produttori con loro). Restano le incertezze legate agli ultimi giorni da qui alla vendemmia, che da anni non si ricordava così dilatata nel tempo: mai come questa volta bisogna aver pazienza là dove urge la voglia di raccogliere e convogliare in cantina. E’ una sorta di lotta contro il tempo al contrario: per arrivare a vendemmia al meglio, occorre lasciare le uve crogiolarsi ancora al sole, sperando che le piogge da autunno imminente tardino un poco. Nessun vignaiolo di valore si affida alle previsioni del tempo. E’ un po’ come essere marinai di terra: si annusa l’aria, si osservano le zolle, si spiano i comportamenti degli animali (molto più bravi di noi a “sentire” i mutamenti del clima), fino a quando si percepisce che il momento è arrivato. La frase “Domani si vendemmia, che Dio ce la mandi buona” viene spesa in tutti i dialetti, più o meno uguale a se stessa. Finora, è stato tutto facile: le uve sono sane, sanissime, come sempre quando la pioggia non assale la campagna. Questo significa poco o niente muffe e quindi trattamenti chimici ridotti al minimo, un bel sospiro di sollievo per chi produce come per chi beve.

I più felici, in questi giorni sono i “bianchisti”: vendemmia senza problemi, uve perfettamente opposte a quelle dell’anno scorso, ad alta acidità, profumate, perfette per vini eleganti e duraturi. I “rossisti”, invece, aspettano. Guardinghi e defilati, che producano Brunello o Aglianico: saranno per esperienza che virare una grande vendemmia in mediocre è questione di pochi millimetri d’acqua.

Per ingannare l’attesa, i consumatori possono distrarsi tra una degustazione al Festival di Franciacorta (celebrazione dei grandi spumanti italiani) e una premiazione al concorso nazionale della Douja d’Or di Asti, immergersi nella Settimana del Sagrantino o partecipare alla Festa del Barolo, tutti in programma tra oggi e la fine del mese. Se poi tutto andrà come si spera, ai primi di ottobre comincerà il conto alla rovescia, per assicurarsi i Super Rossi della nuova vendemmia.


L’intervista - Roberto Voerzio, produttore: “Niente falsi in bottiglia”

Roberto Voerzio, produttore-culto di Barolo (ma anche la Barbera e strepitosa), non ha dubbi: “Se il tempo tiene, sarà un’annata da ricordare”.

Quanto può far male, la pioggia, all’uva?

“Dipende dalla quantità di pioggia, ma anche dalla tipologia dei grappoli. Io, per esempio, faccio maturare solo tre, quattro grappoli per pianta. E ognuno di questi viene a sua volta ridotto a un terzo. Un metodo un po’ particolare di “diradare” l’uva. In questo modo, gli acini prendono tutti la stessa quantità di luce o di sole. E in caso di pioggia non marciscono, perché l’acqua scivola via”.

Una modalità piuttosto costosa.

“E’ il modo che ho scelto per fare il vino. Così la qualità non resta solo scritta sulla carta, ma arriva in bottiglia”.

Dicono che il Barolo sia in crisi.

“Sono in crisi mediamente tutti i vini di alta gamma, perché la crisi dei consumi colpisce a partire da lì”.

Ci sono produttori che vendono a prezzi stracciati.

“Ognuno trova le sue soluzioni. Io per fortuna ho la cantina vuota … Chi fa grandi vini deve scegliere sempre di più la qualità assoluta. Questo è il nostro plusvalore. E il mercato lo riconosce perfino in momenti di congiuntura. Ma se fai un finto grande vino e lo fai pagare, allora vieni punito”.

E il suo Barolo, come sarà?

“Spero buonissimo. Anche se adesso la mia scommessa si chiama Merlot. Mi stuzzica l’idea di produrne uno eccellente in terra di Langa. E penso proprio di riuscirci”.


Il libro

Esce, in questi giorni, “Il cerchio aperto” (testi di Sergio Miravalle, foto di Mauro Vallinotto), storia a fascicoli del vino “etico” che porta il nome dell’associazione fondata dal barolista Elio Altare. Nei suoi tre anni di vita, “Insieme” ha già raccolto oltre 200.000 euro grazie alla vendita del suo rosso. (arretrato de "La Repubblica" del 12 settembre 2004)

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