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La Repubblica

Aria d’autunno, arriva il Novello è la rivincita dei vini autoctoni. Il “deblocage” nostrano conferma la tendenza al boom delle uve storiche, legate al territorio ... Il trionfo del bere giovane. Per l’età media dei consumatori, ma anche soprattutto per quella del vino che verrà stappato a partire da domani notte. L’appuntamento con il Novello è diventato ormai un piccolo classico di metà autunno, con la sua fretta di arrivare sugli scaffali e nelle mescite, i profumi di frutta, il corpo lieve, l’approccio beverino. Perfetto, dicono gli esperti per avvicinare al mondo dell’enologia ragazzi, riottosi e astemi in cerca di redenzione (o di perdizione, dipende dai punti di vista). Per chi invece perso o redento lo è già, il novello è poco più che un giochino da spendere con gli amici, che lo si beva come aperitivo o come intermezzo, magari per accompagnare un cartoccio di caldarroste (il suo abbinamento ideale). La diciassettesima edizione della fiera monodedicata, che accompagnerà il deblocage italiano domani a Vicenza testimonia comunque di un interesse che resiste nel tempo, malgrado rispetto al capostipite francese, il Beaujolais Nouveau, i paletti di produzione siano decisamente più lassi, la tradizione meno radicata, il coinvolgimento più di moda che di sostanza. Rispetto ai puristi del Gamay – l’unica uva consentita secondo il disciplinare della regione lionese – però, il novello italiano nella sua breve storia ha trasformato un limite in ricchezza, se è vero che lontanissimi dalla manovra di riferimento, quest’anno i vitigni impiegati saranno una sessantina. Ovvero, gli autoctoni in passerella. E’ una marea che monta, la rivincita delle uve storiche, capaci di resistere nei secoli, aggrappate a una terra e a quella indissolubilmente legate. Perché siamo un paese piccolo e stretto, impossibilitato a gareggiare sul piano della quantità, e a volte anche della qualità, se questa è legata a produzioni di lignaggio medio-basso. Per fortuna, smessa la grande rincorsa, abbiamo ricominciato a lavorare le nostre vecchie, care uve supertipiche e superlocali, e non solo per fare il Barolo. Con risultati ottimi, e in alcuni casi addirittura entusiasmanti. Tanto che, nell’incursione fatta qualche giorno da dal Vinitaly negli States, i vini da uve autoctone hanno ricevuto plausi e onori in quantità, immediatamente tradotti in commesse e prenotazioni: dal Nero d’Avola al Primitivo, passando per il Tocai friulano, la Barbera, il Verdicchio, i compratori stranieri hanno scoperto un’Italia del vino radicata e purista, finalmente più disposta alla ricerca ampelografica dei propri terreni che a inseguire il mito di Chardonnay e Cabernet. Così, tra dieci giorni, durante lo svolgimento del Salone del Vino di Torino, verrà presentato alla stampa un doppio progetto di legge – targato Comunisti Italiani e Diesse – per la catalogazione e la tutela dei vitigni autoctoni. Con un primo obiettivo di tutto interesse: proclamare i vitigni autoctoni patrimonio culturale dello Stato, così da sottrarre la materia all’arbitrio delle regioni, e ottenere la tutela del ministero dei beni culturali. Del resto, i vitigni autoctoni si sono ormai guadagnati spazi da ballerine di prima fila: è di questi giorni l’uscita di una guida monodedicata (“Vini buoni d’Italia”, che va ad appaiarsi a quella dell’associazione Sommelier - “Duemilavini” - e dello Slow Food - “Guida al vino quotidiano” - a loro volta gonfie di schede inneggianti ai vini da uve di tradizione, mentre inizio dicembre, a Tarvisio, in Friuli, verranno presentati e dati in assaggio i migliori autoctoni italiani.
Se invece siete impazienti di assaggiare le prime “spremute d’uva autoctona” dell’ultima vendemmia, andate sul sito del Movimento del Turismo del Vino (www.movimentoturismovino.it), troverete l’elenco delle cento cantine dove domenica potrete assaggiare i primi Novelli. Naturalmente, con castagne annesse.

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