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La Repubblica

Addio a Luigi Veronelli "inventò" l´enogastronomia. È morto a 78 anni: libertino nei piaceri del cibo, libertario in lotta contro la globalizzazione dei sapori. Ha vissuto tante vite in una. Coltissimo, è stato autore, editore e militante anti ogm. Ha avuto molti allievi, grati e non. Il suo "assaggio" non era tecnico ma amoroso ... Aveva detto: morirò a 103 anni, come la mia amica Giuseppina Perusini Antonini, la contessa del Picolit (un vino che oggi non esisterebbe, non se ne fosse occupato Sua Nasità, temporibus illis). Aveva anche indicato l´ultima bottiglia, per il 2029: un Porto Quinta do Resurressi 1926, fatto da una contadina anarchica. E sperava che gli trovassero un posto nel cimitero di Pradumbli, dove sono sepolti molti anarchici. Il cimitero è a Prato Carnico, ma sarà in quello di Bergamo che oggi tanta gente dirà addio, ma soprattutto grazie, a Luigi Veronelli, Gino per gli amici. Aveva 78 anni. Il fegato gli ha fatto perdere la scommessa del 2029. Era quasi cieco, gli dispiaceva dover rinunciare al piacere della lettura, e anche non riconoscere immediatamente i suoi nemici. Sembrava essersi ripreso da un intervento chirurgico. Guardo con profonda tristezza un cartoncino che lo annuncia stasera alla libreria Hoepli per presentare un libro sulla cucina meneghina, di cui aveva scritto la prefazione.
È stato un grande, Veronelli, non solo per quello che riguarda il mangiare e il bere. Come avesse vissuto tante vite in una. Milanese dell´Isola, nonno Luigi panettiere in piazzetta della Rosa, oggi piazza Pio XI. Primo bicchiere di vino il giorno della prima comunione. «Adesso che siete uomini, potete bere» disse il padre versando un po´ di rosso nei bicchieri per Gino e Gianni, il fratello gemello.

«Doveva essere Barbera dell´Oltrepò, io e Gianni eravamo pronti a tracannare ma mio padre ci fermò: prima lo guardate, poi lo annusate e poi lo bevete con rispetto, perché c´è dentro la fatica dei contadini». Studi classici, passione per la filosofia. Fu assistente di Giovanni Emanuele Bariè e collaboratore di Lelio Basso. Perse buona parte dell´eredità paterna facendo l´editore: poesia ("La ragazza Carla" di Elio Pagliarani) ma anche i socialisti utopisti (Fourier, Proudhon). L´anno scorso a Modena si gettavano le basi per un convegno su cucina e anarchia e un ragazzo di Imola gli si presentò con un libro di Proudhon, edito da lui, per la dedica, e Veronelli si mise a piangere per la commozione. Rideva, invece, raccontando di una mattina del 1957, cortile della questura di Varese. «Fu l´ultimo rogo di libri, in Italia. Si trattava di Historiettes, contes et fabliaux di Sade, editore Luigi Veronelli, traduttore Luigi Veronelli, condannato a tre mesi in appello per pubblicazioni oscene. E sì che come primo editore italiano di Sade avevo scelto le pagine meno pepate. I libri bruciavano e io battevo le mani, sotto gli sguardi ostili dei pochi presenti. L´amarezza in questa vicenda fu un´altra. Il Mondo era il mio faro, Mario Pannunzio il mio punto di riferimento. Gli scrissi prima del processo sperando che si esprimesse contro una sentenza liberticida e lui mi rispose seccamente: non mi occupo di pornografia».

Chi vive in disparte vive bene, c´è scritto in latino sulla porta di casa Veronelli, a Bergamo alta, dove pare d´essere in Umbria (acciottolato, cipressi). Lui sapeva stare in disparte come in prima fila. Sei mesi per istigazione a adunata sediziosa nel 1980. «C´era una manifestazione di contadini per il prezzo delle uve, i finanziamenti del governo non arrivavano mai, sul palco delle autorità s´erano alternati il bianco, il nero, il rosso, il verde. Vai su anche tu, che sai cosa dire, mi fece Giacomo Bologna, il grande Giacomo, quello che m´ha insegnato che senza gioia e serenità il buon vino conta nulla. Io salii sul palco e dissi: vi hanno servito un sacco di balle, se volete farvi sentire fate come gli operai, bloccate l´autostrada o la stazione. Così bloccarono la stazione ferroviaria, mentre io ero al ristorante, ma istigatore restavo. E comunque i finanziamenti arrivarono dopo pochi giorni».

Donchisciottesco, dicevano, quando partì lancia in resta contro la CocaCola, che non indicava tutti gli ingredienti in etichetta. «Non era una guerra, erano tre battaglie, ma stranamente tre giudici diversi hanno sempre trovato un vizio di forma nella mia denuncia». Donchisciottesco, dicevano ancora in tempi recenti, quando Veronelli si avvicinò ai centri sociali (Verona, Brescia, Milano) e fu tra i fondatori di Terra e libertà (come il film di Ken Loach). Era invece il Veronelli di sempre, coerente con se stesso, che rimpiangeva la mancanza di un Bové italiano, che predicava contro la globalizzazione, gli ogm, le multinazionali, e la terra era minuscola come suolo, maiuscola come pianeta, minacciata con entrambe le iniziali. Per questo chi va oggi al cimitero di Bergamo (la famiglia avrebbe preferito esequie private col rito civile, e solo dopo queste l´annuncio della morte, ma la notizia è subito filtrata) non deve stupirsi se troverà le bandiere nere degli anarchici e qualche suora col rosario. Dalla casa del libertino libertario, una biblioteca di 10mila libri (un centinaio scritti da lui), una cantina di 70mila bottiglie, partivano da anni regolari rifornimenti enoici per tre conventi di Bergamo alta.

Aveva una cultura prodigiosa, citava a memoria Rambaldo di Vaqueyras o Brecht («sono sempre pronto a una nuova idea e a un antico vino»), il sogno nel cassetto era tradurre Apollinaire. E anche un bel fisico, aveva diretto per qualche anno una stazione invernale, al Tonale, gli piaceva la caccia subacquea ma senza pinne e respiratore, sennò il pesce è troppo svantaggiato. Le sue "Guide all´Italia piacevole" restano fondamentali, così come le sue battaglie per i cru, per la dignità dei vignaioli, per la qualità del cibo e del vino. Ha avuto molti allievi, alcuni grati, altri pronti a pugnalarlo alle spalle. Il suo assaggio era diverso da quello dei tecnici. Di tipo amoroso, diceva. «Un vino è come una bella donna, non va aggredito con la volontà di imporsi, va ascoltato». La tecnica si perfeziona, ormai son capaci tutti di sentire la marasca nel Cannonau e la pipì di gatto nel Sauvignon. Ma, come il suo grande amico Gianni Brera, Veronelli era in anticipo coi neologismi: di pronta beva, stoffa zerga, nerbo viperino. Con la penna e in tv (molti ricorderanno la trasmissione con Ave Ninchi) Veronelli è stato un poderoso e isolato apripista, di quelli col machete. Sul sentiero diventato autostrada, non ce n´è uno che gli arrivi al ginocchio. Gli sia lieve la terra che ha tanto amato, esaltato, raccontato e difeso. Ma sì che gli sarà lieve.

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