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La Repubblica

Come vincere la scommessa dell´export. Mettete in bottiglia terra, storia e cultura ... Identità, qualità e marketing, sembrano essere le parole d´ordine dei produttori italiani alla vigilia del Vinitaly, dove si cercherà di capire che cosa sta davvero succedendo nell´Italia e soprattutto nel mondo del vino. Corazzata salda ancorché afflitta da problemi strutturali e logistici, criticato da operatori e visitatori, il Vinitaly resta in realtà l´unico vero appuntamento irrinunciabile del mercato fieristico, cui nessuno che voglia fare affari nel vino in Italia e con l´Italia può sottrarsi. Tanto per cominciare, dopo fiumi di parole e di pianti spesi per denunciare la gravità non solo della crisi del mercato interno ma anche delle crescenti difficoltà nell´export, dal Vinitaly uscirà probabilmente una prima credibile sintesi fra le diverse valutazioni e sulle prospettive, che giorno sì e giorno no, i produttori esternano, contraddicendosi l´un l´altro.

«Non si tratta di congiuntura negativa, stiamo vivendo una crisi strutturale dovuta a tre fattori: sovrapproduzione a livello mondiale, drastica caduta dei consumi interni, minor competitività sui mercati esteri», tuona Gianni Zonin. Proprio il contrario di quanto emerge dal sondaggio svolto poche settimane fa da Winenews.it, sito web tematico tra i più seri e documentati, tra cinquanta grandi imprese del settore, che al settanta per cento hanno dichiarato di aver aumentato il proprio fatturato nel 2004 e prevedono un 2005 ancora migliore. E di queste oltre un terzo ha segnalato una significativa crescita della vendita in Italia … D´accordo su tale valutazione, pur con diverse sfumature, Marco Caprai, Francesca Planeta, Michele Bernetti di Umani Ronchi, Martino De Rosa del Gruppo Wiish (Contadi Castaldi capofila), Enrico Viglierchio di Castello Banfi. Tutti concordi, comunque, sul fatto che il comparto stia attraversando una fase di riflessione nella quale ogni azienda, se non l´ha già fatto, deve ridefinire obiettivi, prodotti, strategie e riposizionarsi sul mercato.

Secondo Angelo Gaia, «ha poco senso ragionare in termini di mercato domestico, perché, diciamolo francamente, per il vino l´Italia è e resterà un mercato povero, limitato. In una prospettiva mondiale la ricetta è che i produttori italiani alzino il tiro, cioè la qualità, dei propri vini, spostandosi con decisione dai "vini da tavola", di prezzo sino a 4 euro a bottiglia, ai cosiddetti "premium wine", categoria che nel lessico adottato dagli americani ricomprende i "popular premium" (da 4 a 12 euro), i "premium" veri e propri (da 12 a 50), i "super premium" (da 50 a 150) e gli "ultra premium" (oltre 150 euro)». E in effetti tutte le previsioni convergono sul fatto che da qui al 2008 cresceranno in misura maggiore le vendite di vini di prezzo superiore ai 4 euro che quelle di vini meno costosi.

La scelta pare quindi obbligata, per tutti: fare più qualità e fare tanto marketing, molto più meditato e mirato che in passato. Valorizzando l´identità dei nostri vini, puntando sempre più sui vitigni autoctoni peculiari dei nostri terroir, lasciando perdere i modelli internazionali e omologati. E naturalmente dandosi una robusta regolata sui prezzi, nei quali quasi tutti i produttori nostrani hanno esagerato, salvo poi vedere anche marchi prestigiosi attuare spudoratamente politiche del tipo "prendi tre casse, ne paghi due" o addirittura "una cassa a prezzo pieno, una cassa regalata".

In ogni caso più Aglianico e Montepulciano d´Abruzzo, Negroamaro e Insolia, Nebbiolo e Ribolla, meno Cabernet, Merlot e Chardonnay. Una cura particolare va poi dedicata ai mercati più vasti e a quelli emergenti. Che restano innanzitutto gli Stati Uniti, sbocco già fondamentale con spazi importanti di crescita, poi la Germania quando la sua economia riprenderà a tirare, e i nuovi clienti tutti da conquistare, cioè la Federazione russa, la Cina, l´India (dove i consumi di vino crescono del venticinque per cento l´anno), i paesi scandinavi. «Vinciamo se facciamo qualità, certo, dobbiamo però essere più efficaci nel vendere non solo le nostre bottiglie, ma la nostra storia, la nostra cultura, tutti i prodotti d´eccellenza della filiera agroalimentare, la nostra cucina che suscita nel mondo una richiesta impressionante di cuochi, formatori, operatori vari», riassume Enzo Ercolino di Feudi di San Gregorio.

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