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La Repubblica

La rinascita del vecchio rosè ultimo figlio della tecnica … Bentornato rosato. E non sarà la moda di un´estate, propiziata dalla naturale tendenza stagionale a privilegiare i vini freschi, beverini, immediati. È piuttosto un ulteriore segnale dell´evoluzione del gusto del "consumatore medio" e di chi inizia ad avvicinarsi al vino: si cercano e sono apprezzati vini non impegnativi, facili da degustare e da capire, di costo contenuto. E, come appunto i rosati, versatili nell´accompagnarsi ai cibi, capaci di sposare salumi, pesci e carni bianche, paste e verdure, dall´aperitivo sino ai dessert a base di frutta. Bevuto a temperatura di cantina o ben fresco (mai gelato), il rosato - quello serio, quello buono - è per antonomasia il vino delle vacanze al sole ma non è affatto un vino minore, ha piena dignità, ha radici lontane, ha un posto nella storia del vino.
La sua origine risale al XV secolo, nel Bordolese: claret era il rosé di una notte, racconta lo storico della vigna Hugh Johnson, fatto lasciando l´uva spremuta sulle sue bucce non più di ventiquatt´ore, giusto per avviare la fermentazione che sarebbe continuata poi nella botte. L´affinamento delle tecniche di lavorazione ha codificato vari procedimenti per produrre il rosato, ma i più importanti sono due: quello detto par saigné, ormai meno utilizzato, nel quale si lasciano le bucce delle uve in macerazione a contatto con il mosto perché gli cedano colore sino al momento in cui sia raggiunta l´intensità desiderata, per poi separare le bucce e procedere alla vinificazione e l´altro, più diffuso e praticato, della spremitura diretta più o meno intensa delle uve nere, che permette di estrarre dalle bucce la quantità di colore voluta. I passaggi successivi sono gli stessi in uso per i vini bianchi. Viceversa è proibito in Italia come in Francia fare un rosato mescolando vino rosso e bianco (tranne che nella Champagne, dove quasi tutti i rosé sono ottenuti par mélange; con rare eccezioni: come il meraviglioso Krug Rosé).
Ma esistono e quali sono i rosati "buoni, veri e seri?" Sì, più numerosi di quanto si creda, benché poco conosciuti e diffusi, ma oggi alla riscossa. In Francia, dove l´eclisse del rosé è stata meno accentuata che da noi, sono numerosissime le zone e le tipologie di rosé prodotti sia con vitigni nobili e internazionali sia con vitigni autoctoni: dai pinot neri della Bourgogne ai cabernet franc e sauvignon del Bordolese, dai grenache e cinsault del Tavel, il più famoso rosé di Francia, nelle Côtes du Rhônes, sino al Sud-Est dove con il mourvèdre e altri vitigni autoctoni si produce il classico Bandol e, pure con vitigni locali, il provenzale Bellet. In Italia, da sempre, i migliori rosati fermi vengono dal Sud, dai terreni siccitosi ma esposti alle brezze marine di Puglia, d´Abruzzo e delle isole: il Montepulciano d´Abruzzo Cerasuolo, su tutti quello dell´impareggiabile maestro Edoardo Valentini; i negroamaro più malvasia nera, come il Vigna Mazzì di Rosa del Golfo e il Five Roses di Leone de Castris; il nerello mascalese più nero d´Avola come il Rose di Regaleali; il Nieddera del sardo Attilio Contini; il delizioso Rogito delle Cantine del Notaio cento per cento aglianico del Vulture; meno significativi i toscani, fra i quali tuttavia brilla per modernità e fragranza il Rosato del Castello di Ama; ottimi ma consumati quasi in toto localmente i Chiaretti del Garda e i Lagrein Kretzer altoatesini. Tutti, ad eccezione del Cerasuolo, costano tra gli 8 e i 15 euro. Eccoli, i vini dell´estate 2006. (arretrato de "La Repubblica" del 7 agosto 2005)

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