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La Repubblica

Bordeaux, da 150 anni sul trono dei vini... Ma negli Usa è polemica: altre bottiglie sono migliori e costano meno. Buon compleanno, Grand Cru. Dicono che Napoleone III l´abbia fatto per dare il suo imprimatur alla grandeur enologica della Francia: esattamente 150 anni fa, qualche mese prima dell´Esposizione Universale di Parigi, l´imperatore convocò i maggiorenti dell´agricoltura e delle camere di commercio della regione, chiedendo che varassero un sistema inequivocabile per classificare i gioielli alcolici prodotti sulle rive di Dordogna e Garonna.
Gli esperti non si persero d´animo: presero in mano i prezzi di vendita dell´ultimo secolo di produzione e stilarono un vero e proprio ranking, diviso in cinque fasce, a partire dalle aziende-culto dell´epoca - Lafite-Rothschild, Latour, Margaux - a cui venne aggiunto d´ufficio Haut Brion, fiore all´occhiello di casa Talleyrand, malgrado le vigne fossero dislocate fuori dai sacri terreni del Médoc. Solo molti, molti decenni più tardi, nel 1973, una legge ad personam - con ministro dell´agricoltura Jacques Chirac - permise a Chateau Mouton-Rothschild di entrare a far parte del pokerissimo.
Un secolo e mezzo più tardi, sono ancora loro, i Top Five del Bordeaux, a fare il mercato mondiale dei vini di pregio. Non sono e non tanto per la classificazione di un tempo - ormai equiparabile a un titolo nobiliare - quanto per la qualità alta, spesso altissima, della produzione.
Eppure, sono in molti a voler vedere il re nudo. Americani in primis. Così, sabato, il Wall Street Journal ha pubblicato i risultati di un blind test, una degustazione cieca, realizzato in collaborazione con il sommelier William Wouters, responsabile della supercantina (40.000 bottiglie) di "Comme chez soi", storico ristorante tristellato di Bruxelles. I risultati sono stati impietosi, se è vero che tra i nove Bordeaux 2001 pescati all´interno delle cinque fasce di classificazione, il voto più alto è andato allo Chateau Kirwan, terza fascia, 35 euro in enoteca, mentre il mitico Chateau Latour, 165 euro a bottiglia, è precipitato al penultimo posto.
Trionfanti, i degustatori hanno decretato la fine della classificazione 1855, com´è universalmente conosciuta, decaduta e ormai disancorata dalle nuove realtà del mercato, «perché a metà prezzo in Loira si trovano vini buoni il doppio». In Francia, non si è mossa foglia. Troppo distante, la cultura vinicola, per ipotizzare un comune sentire. La guerra vinicola è solo l´ultimo capitolo del muro contro muro alzatosi a dismisura dopo la mancata adesione francese all´intervento in Iraq. Vero è che il boicottaggio dei piccoli e grandi rouges ha prodotto una contrazione delle esportazioni in grado di impensierire anche la più robusta delle economie agricole. Ma il problema riguarda soprattutto i vini di fascia medio-bassa, ovvero la gran parte dei 700 milioni di bottiglie prodotte ogni anno nella regione della Gironda. Perché gli appartenenti ai Grand Cru Classé godono ancora di prestigio e mercato a sufficienza. Certo, qualche tremor di polsi a suo tempo c´è stato, coinciso con un periodo preciso, a metà degli anni ‘90, quando i grandi compratori americani e giapponesi chiesero ad alta voce di poter accedere alle superbottiglie senza aspettare i quarti di secolo previsti dalla miglior tradizione bordolese.
Ci fu chi provò a fare vini meno rigorosi, più "pronti", arrivando perfino a importare - senza dare troppo nell´occhio - qualche guru dell´enologia del Nuovo Mondo. I risultati furono disastrosi. Perché i vini facili non sono nel Dna dei supervignaioli bordolesi, orgogliosi di una terra dalle caratteristiche ambientali e climatiche particolarissime, grazie agli influssi dei fiumi e dell´oceano Atlantico, alle foreste che proteggono dai venti più freddi, ai terreni ghiaiosi perfetti per il drenaggio dell´acqua. E legati a metodologie di produzione tanto severe quanto insopprimibili.
La bocciatura del nuovo corso pare sia arrivata direttamente dall´Eliseo, a inizio del nuovo millennio: basta tentazioni modaiole, si torna all´antico. Dal Médoc a Saint Emilion, da Fronsac a Pomerol, il sospiro di sollievo si è tramutato in una nuova ondata di supervini. Che però è impensabile valutare a quattro, cinque anni dalla nascita, proprio come i Grandi Baroli. Che aspettano solo di essere maturi al punto giusto per far godere palati pazienti e golosi. (arretrato del 5 settembre)


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