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La Repubblica

In vino veritas la ricetta per ripartire... Venti anni orsono l´immagine del vino italiano venne travolta dallo scandalo del metanolo. Ben 19 persone morirono e molte decine furono colpite da cecità e da altre gravi lesioni per un misterioso avvelenamento prima che la Procura di Milano giungesse ad appurare che la causa risiedeva nell´aggiunta corposissima di alcol metilico (ovverosia metanolo) compiuta da numerosi sofisticatori per aumentare artificiosamente la gradazione e moltiplicare, così, il valore di partite di pessima qualità. La ripercussione fu enorme. Le esportazioni crollarono di un terzo, il fatturato di un quarto, più di venti milioni di ettolitri restarono invenduti nelle cantine. La stampa mondiale suonò il de profundis del vino italiano le cui condizioni di salute, del resto, non erano già da tempo le migliori. La tradizionale scelta – grandi quantità a basso costo, con alcune punte di alta qualità in Piemonte, Veneto e Toscana – si stava, infatti, rivelando complessivamente perdente. La concorrenza estera progrediva col vento in poppa. Il declino delle nostre vigne sembrò segnato. E invece quel trauma segnò l´inizio di una ripresa ricca di insegnamenti che oltrepassano il pur importante settore vitivinicolo per riproporre un modello di sviluppo vincente ma che tarda molto ad essere recepito (l´ultima prova del ritardo culturale sta proprio nei programmi elettorali incentrati ancora su presupposti vetero industriali, dove la ripresa è affidata agli sgravi fiscali). Prima di tracciare il profilo di questa confortante metafora è però necessario documentare come dai giorni tristi del metanolo ad oggi si sia verificato un vero e proprio «rinascimento del vino italiano», titolo che la Coldiretti, l´Associazione Città del vino e Symbola, Fondazione per le qualità italiane, hanno dato a due giorni di festeggiamenti, con apertura pubblica di tutte le cantine.
Il rovesciamento del modello produttivo è frutto di una vera e propria rivoluzione culturale che ha puntato a diminuire la quantità e aumentare la qualità. Così oggi abbiamo abbassato la prima del 37% ma il valore del fatturato si è triplicato (+260% pari a 9 miliardi di euro); le esportazioni sono lievitate in valore del 250% e l´Italia è oggi il primo esportatore del mondo sotto questo profilo, i vini certificati (doc ecc.) risultano raddoppiati e rappresentano il 58% della produzione complessiva; questo esito si è verificato anche attraverso un recupero di metodologie tradizionali con una diminuzione del 68% nell´impiego di agrofarmaci di natura chimica; nel contempo sono stati recuperati centinaia di vitigni autoctoni da tempo abbandonati, dotandosi così di una tipologia variata, altamente tipica. Tutto questo processo innovativo è il risultato di profonde trasformazioni aziendali (compresa la promozione dell´enoturismo che conta già 4 milioni di visitatori annui), investimenti indovinati con l´utilizzazione anche dei fondi europei, ma soprattutto attraverso la promozione di una giovane leva di enologi capaci e preparati. Un fenomeno che ha travalicato le regioni tradizionali e si è esteso a quasi tutta l´Italia così che oggi si può dire non vi sia regione del Centro-Sud e delle Isole che non si vanti, a ragione, di produzioni doc di alto prestigio.
Se mi sono soffermato nel documentare un successo di grande dimensione, ma pur sempre settoriale, è perché mi sembra esso rappresenti in concreto una metafora straordinaria delle possibilità di invertire su scala assai più generale quel «declino» di cui tanto si parla e, allo stato dei fatti, non senza ragione. Ma solo allo stato dei fatti. Se, per contro, metabolizzassimo, anche a livello delle strutture politiche e della cultura economica, l´idea che l´Italia possiede già un patrimonio di una tale potenzialità che né i bassi costi cinesi, né la tecnologia americana possono eguagliare, allora saremmo in grado di far ripartire un vigoroso processo di rinascita nazionale.
Questo patrimonio è il nostro territorio dove bellezza, cultura, creatività possono incrociarsi nel quadro di una loft economy che spazia dall´industria più sofisticata al turismo, dall´ammodernamento e potenziamento delle reti (dall´informatica ai trasporti) all´agricoltura di qualità.
Un agile e documentato libro uscito recentemente («Soft economy» di Antonio Cianciullo e Ermete Realacci, ed. Rizzoli) traccia un panorama avvincente dei punti di avanguardia raggiunti in questa direzione. Come scrive nella postfazione Carlo De Benedetti: «La globalizzazione impone a tutti di puntare sulle proprie speciali attitudini, se si vuole restare sul mercato mondiale da protagonisti». Possiamo farcela, non solo con il vino. (arretrato del 20 febbraio 2006)

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