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La Repubblica

Stile italiano ... La prima bottega-laboratorio dei fratelli Cinzano apre a Torino nel 1757. Il marchio ha resistito e festeggia ora il suo primo “quarto di millennio”. Un traguardo legato alla qualità e alla tradizione, ma anche a una particolare sensibilità per la comunicazione che ne ha fatto un pioniere e un protagonista della storia della pubblicità... Sono poche le istituzioni e perfino gli Stati che possono vantare un’anzianità di duecentocinquant’anni, cioè un quarto di millennio, dieci generazioni. A maggior ragione sono rarissime le imprese capaci di arrivare a questo traguardo: sempre soggette come sono a tutti gli imprevisti del mercato, ai mutamenti del gusti e dell’economia, alle vicissitudini della proprietà, si considerano longeve già dopo mezzo secolo di vita. L’Italia, che come Stato nel 2011 compirà solo il suo centocinquantesimo anniversario, ha una delle maggiori concentrazioni mondiali di aziende storiche, traccia di un percorso di innovazione che è iniziato coi Comuni e il Rinascimento. Fra esse arriva quest’anno a festeggiare il fatidico quarto di millennio una delle marche più popolari, più autenticamente italiane e più note nel mondo, la Cinzano di Torino.
Era infatti il 6 giugno 1757 quando due fratelli, Giovanni Giacomo e Carlo Stefano Cinzano, appartenenti a una famiglia di vignaioli della collina torinese la cui attività è documentata dalla metà del Cinquecento, ottennero per la prima volta dalla corte sabauda il diploma di maestri distillatori e l’autorizzazione ad aprire una bottega laboratorio in via Dora Grossa, oggi via Garibaldi, proprio nel centro della città a due passi da piazza Castello. Era l’inizio di un’avventura industriale di grande successo. I vini e i distillati della famiglia piacevano ai nobili di una città in piena espansione che stava rinnovandosi completamente sul piano urbanistico ed economico, per diventare il centro di un regno con molte ambizioni. Nel 1786 i Cinzano furono nominati fornitori della Real Casa, essendo divenuti i migliori fabbricanti di una specialità torinese di vino speziato con erbe che tutti oggi conoscono col nome di vermouth (la parola, a quanto pare, viene dal tedesco vermud, assenzio).
In quel periodo furono anche eletti rappresentanti ufficiali della loro “corporazione” o organizzazione di categoria, con il compito di stilare i regolamenti e di controllare la qualità.
Dopo gli sconvolgimenti della Rivoluzione francese, i Cinzano furono incaricati dal re di Sardegna di cercare di emulare in Piemonte i metodi francesi di fabbricazione dello champagne, sperimentandoli nei domini reali di Santo Stefano Belbo e Santa Vittoria d’Alba. È di qui che ha origine una produzione italiana di spumanti radicata fra il territorio astigiano e le Langhe, che ancora ha grande successo. A metà dell’Ottocento incominciava l’espansione all’estero del commercio di vini e vermouth dei Cinzano, che arrivò presto in tutta Europa, in Sudamerica e perfino in Africa, teatro delle avventure di un incredibile personaggio di commesso viaggiatore internazionale, Giuseppe Lampiano, che si faceva ritrarre in abiti da sceicco o in mezzo alle popolazioni tropicali, sempre con una bottiglia in mano. Mentre il successo e la fama del nostro vino erano di là da venire, insieme a qualche altra casa italiana, come Campari e Martini, Cinzano stava inventando un consumo alcolico e una merceologia nuova, quella degli aperitivi: prodotti più alcolici di un vino normale e meno di un distillato, dolci o secchi, da consumare da soli o mescolati con altri ingredienti in quegli intrugli deliziosi che gli americani avrebbero chiamato cocktail.
Al di là dei successi industriali e commerciali e di un’identità italiana - anzi torinese - così caratteristica, quel che rende particolarmente interessante il compleanno di Cinzano è la sua continua popolarità, che a sua volta dipende da una straordinaria sensibilità che l’azienda ha sempre avuto per la comunicazione e l’immagine. Le prime etichette illustrate e stampate sulla bottiglia, con l’immagine delle medaglie vinte in fiere e concorsi, furono adottate al posto delle vecchie etichette scritte a mano a partire dal 1853: un passo che oggi nel mondo dei consumi industriali sembra ovvio ma che sottolineava allora l’inizio di un processo di trasformazione di un’impresa di famiglia locale e basata sulla vendita diretta in ciò che noi oggi conosciamo come una marca: un prodotto industriale, di qualità garantita, che chiede la fiducia dei propri clienti sulla base della notorietà del suo nome e della sua immagine, non della conoscenza personale. È un passaggio fondamentale che la maggior parte delle imprese europee compie verso la fine del secolo ma che Cinzano anticipa di parecchi decenni.
Il momento successivo di questa evoluzione verso la marca moderna è la pubblicità. Anche in questo caso a noi sembra del tutto scontato che un produttore di merci di largo consumo come spumanti e vermouth debba farsi conoscere dai suoi consumatori usando i mezzi di comunicazione; ma la pubblicità sui giornali e sulle affissioni arriva abbastanza tardi nella storia industriale europea e in particolare italiana. Cinzano è uno dei primi a provarci con un annuncio pubblicato su un giornale significativamente collocato abbastanza lontano dalla sua base geografica, prova di un’espansione commerciale già avviata. L’8 dicembre 1887, centoventi anni fa, usciva sul quotidiano Il Telegrafo di Livorno un annuncio, ovviamente in bianco e nero e senza immagini che pubblicizzava il “Vino Vermouth della rinomata Casa F. Cinzano”.
È l’inizio di un percorso di comunicazione che è durato fino a oggi, restando negli occhi e nella fantasia di consumatori non solo italiani. Solo un anno dopo, nel 1888, esce il primo manifesto firmato da Adolf Hohenstein, uno dei fondatori della grafica pubblicitaria italiana: un dio Pan che suona e danza. I manifesti pubblicitari, splendidamente illustrati e coloratissimi, furono il mezzo di comunicazione aziendale principe fino all’avvento della televisione, quello in cui investivano maggiori mezzi e creatività, coinvolgendo spesso grandi artisti. E Cinzano li usò con grande ricchezza e abilità. Illustratori importanti come Leonetto Capiello, Mario Gross, Marcello Dudovich, e molti altri fino ad arrivare a Ugo Nespolo e Guido Crepax, hanno prodotto per Cinzano centinaia di affiches che si possono ora vedere nel museo aziendale di Santa Vittoria d’Alba. In genere sono scene allegre, piene di colori e di euforia, con una grande figura di solito femminile, o una coppia, qualche tralcio di vite o dei grappoli, l’idea di una festa, il piacere della socialità, un’aria di lusso e di raffinatezza, e l’immancabile bottiglia, magari collocata in secondo piano, ma strategicamente ben visibile. Alcuni di questi, come la “Giraffa” di Capiello, sono veri e propri capolavori che hanno oggi un importante mercato antiquario.
Anche gli altri mezzi di comunicazione sono stati usati dalla Cinzano fin dall’inizio in maniera sempre molto moderna e innovativa. Suo è per esempio il primato di aver usato per la prima volta, a Parigi verso il 1910, la pubblicità luminosa col neon. Il marchio diffuso in tutto il mondo con i due campi rosso e blu divisi dalla diagonale risale al 1925. Alla radio, quando questa era il mezzo di comunicazione più moderno, migliaia di annunci ripetevano quel “Cin-cin... Cinzano!” che è rimasto nella tradizione nazionale italiana come brindisi allegro e un po’ infantile. Nel 1949 fu prodotta una serie di poster con foto di Totò costruite secondo uno stile vagamente fumettistico o da fotoromanzo. Un’altra star usata come testimonial è stata Rita Pavone che in una serie di Caroselli degli anni Sessanta cantava “Cin-cin cinzoda / una voglia da morir”. Negli anni Settanta era invece Joan Collins a cantare “Cin-cin / C’innamoriam”.
Secondo una modalità caratteristica del tempo, Cinzano sponsorizzò anche un vero e proprio film, girato nel ‘68 con Anthony Quinn, Anna Magnani, Virna Lisi, Giancarlo Giannini. La trama è costruita sulla rielaborazione fantastica di un episodio della Resistenza realmente accaduto: i preziosi depositi di milioni di bottiglie della Cinzano necessari per la produzione vengono sottratti alle razzie dei tedeschi e salvati dalla popolazione di Santa Vittoria d’Alba, nelle Langhe, murando le cantine. Intorno al salvataggio economico e politico dell’aperitivo nazionale si intrecciano episodi romantici e avventurosi.
A pochi anni dopo, verso l’inizio degli anni Ottanta, risale una serie di brevi filmati pubblicitari (oggi diremmo spot) che ebbero grandissimo successo internazionale: in ambienti sempre un po’ lussuosi e mondani (un albergo alpino, una festa in una casa elegante, un incontro d’affari con imprenditori giapponesi, la cabina di un aeroplano) si presenta un tipo chiacchierone e un po’ prepotente (Leonard Rossiter, interprete inglese di 2001: Odissea nello spazio, della Pantera rosa e di Barry Lindon), che vanta da intenditore i meriti del Cinzano Bianco, si impadronisce magari di un bicchiere non suo e lo sorseggia deliziato, ma poi per una ragione o per l’altra finisce per rovesciarlo sulla camicetta di seta della sua interlocutrice, che è sempre Joan Collins. Airliner, uno di questi filmati, è entrato nella classifica degli spot più famosi della storia della pubblicità curata dalla rivista Brand Republic.
Il resto è cronaca recente. Estinta la famiglia, la Cinzano è stata comprata nel 1999 dalla Campari, storica concorrente, e insieme a questa rappresenta oggi nel mondo delle merci una certa immagine dell’Italia, raffinata e allegra, dedita al piacere della socialità e capace di sedurre. I secondi duecentocinquanta anni sono già iniziati con un’edizione limitata di spumante.

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