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La Repubblica

Guide Michelin. Francia regina di stelle, seconda arriva l’Italia ... Il mondo della cucina e della ristorazione si muove e cambia. Dappertutto, ma in Francia meno che altrove. A scorrere le
pagine della Michelin Francia (che uscirà giovedì 6), sono davvero poche le novità ai piani alti. Attesa non solo dai francesi ma un po’ da tutti i gourmet perché dovrebbe dare la direzione di marcia, la “rossa” francese chiude la stagione delle Guide. Al vertice, boccia il Grand Véfour di Guy Martin, che passa da tre a due “stelle”, promuove da due a tre Le Petit Nice di Gérald Passedat a Marsiglia, promuove da una a due “stelle” sei locali, tutti in provincia tranne l’Atelier di Robuchon a Parigi. In realtà la grande novità di casa Michelin quest’anno è stata la già commentata e chiacchierata uscita dell’edizione di Tokyo, ma ora con la Francia e con le quattro “capitali” americane, si può tracciare un quadro quasi completo del mondo a tavola secondo Michelin. E’ un quadro che spacca nettamente in due il mondo dei critici, dei ristoratori e degli appassionati della materia: chi dice che Michelin è vecchia, lenta, francocentrica e in definitiva tutta da buttare; e chi sostiene, che pur criticabile per alcune palesi incongruenze, con il suo milione di copie delle varie edizioni, resta la Guida che meglio di ogni altra (anche perché altre con altrettanta ampiezza di visione non ne esistono) consente di girare le migliori tavole del mondo senza grandi sorprese.
Che i criteri di giudizio non siano chiari e anzi appaiano disomogenei fra paese e paese è vero; così come nessuno può discutere che sia francocentrica. Ma sicuramente lo è meno che in passato e in ogni caso il “francocentrismo” riflette una visione condivisa dalla maggioranza di quegli addetti ai lavori che riescono a spogliarsi da ardori nazionalistici: la storia, la cultura, la trasmissione del sapere, il patrimonio di tecniche e di conoscenze di cui dispone la Francia sono incontestabili. Che poi Michelin premi anche fuori dalla Francia soprattutto ristoranti d’impronta francese, sia in cucina, sia nell’ambiente e nel servizio, è altrettanto incontestabile ed è un limite evidente. Clamoroso l’exploit della Germania dove i pluristellati sono quasi tutti di scuola francese, ma lo stesso succede in Svizzera, in Inghilterra, nel Benelux e in misura significativa anche negli Usa. Casi a sé restano Italia, Spagna e Giappone. Chi ha sottolineato che la Michelin “rappresenta una caricatura e non una fotografia della ristorazione italiana” ha semplicemente preso atto che non c’è ragione plausibile perché l’Italia sia nettamente al secondo posto per numero complessivo di stelle rispetto alla Francia, e quindi ben davanti a tutti gli altri paesi, ma abbia un numero oggettivamente basso di “tre stelle”. I più accesi antiMichelin sono in questo momento gli spagnoli: non perdono occasione per proclamare di considerarsi i primi del mondo, ma in realtà la pensano così solo loro e molto gli rode che la Spagna sia schiacciata in termini di stelle dall’Italia ancor più che dalla Francia.
Caso a sé Tokyo. Fanno parte del folclore, se non delle idiozie in libertà, le parole di Giles Coren, critico del Times di Londra, quando dice che “il peggio del Giappone batte il meglio della Francia”. Così come paiono fuori luogo, le proteste di quei ristoratori giapponesi (che guarda caso, anche lì, sono quelli non premiati dalla Guida) che pretenderebbero che la cucina giapponese fosse giudicata solo dai giapponesi... Prossima probabile puntata l’uscita della Guida di Kyoto, che notoriamente è la vera capitale gastronomica del Giappone. Per ora, se c’è qualcuno che deve star contento sono proprio i giapponesi. E ne riparleremo presto.

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