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La Repubblica

Bollicine di gioia ... Un crepitìo discreto di bollicine sta sempre più avvolgendo l’Italia che beve. Lo dicono i numeri, lo conferma l’osservazione quotidiana. Anche nei locali non stellati alla deprimente domanda “gradite un frizzantino?” s’è sostituita la più corretta “gradite uno Spumante?”. A questo punto la palla passa all’avventore: che tipo di Spumante? Ce ne sono tanti, infatti, realizzati con il metodo classico, che per legge non può più chiamarsi Champenois. Dalla Franciacorta al Piemonte, del Trentino Alto Adige all’Oltrepò. Ma sono spumanti anche i veneti (Prosecco, Cartizze ecc.) e, in giro per la penisola, quelli prodotti con altri metodi (in prevalenza Charmat) e usando uve diverse da quelle canoniche. Tanti gli esempi: dal Cortese al Fiano, dal Torbato alla Falanghina. Né si può dimenticare l’Asti, che nelle due versioni, entrambe dolci, rappresenta la fetta più importante della produzione (90 milioni di bottiglie) e dell’esportazione (più della metà). A questo punto ci vuole qualche altro numero: negli anni ’60 le aziende spumantistiche in Italia erano 60, oggi sono 813. Ora si tratta di stabilire se hanno ragione i francesi: del loro Champagne dicono che va bene, cioè si beve di più, quando le cose vanno male. Spiegazione che potrebbe anche adattarsi alla situazione italiana, ma è troppo terra terra per essere vera e del tutto convincente. Intanto, non terrebbe conto dei grandi progressi qualitativi della nostra produzione. Se la culla dello Spumante italiano è il Trentino (Giulio Ferrari, 1902) la sfida al vino più famoso del mondo, lo Champagne, ha poi attirato un numero crescente di produttori, quasi in ogni regione. La Franciacorta, la zona più recente e specializzata, è passata da 4,1 milioni di bottiglie nel 2002 a 8,3 nel 2007. Si è passati da un tentativo d’imitazione alla consapevolezza di un prodotto più nostro, con l’impronta marcata del territorio.
Poi, ci sono altre considerazioni alla base del trionfo delle bollicine, e nulla hanno da spartire con la situazione economica del Paese. Le bollicine, con la loro allegra leggerezza, erano tradizionalmente consumate al momento dell’aperitivo (giusto) e del dolce (sbagliato, se il vino è secco). Oggi molte più persone hanno scoperto i pregi dello Spumante a tutto pasto. Intanto, il grado alcolico è mediamente inferiore a quello di bianchi e rossi fermi, e comunque le bollicine attenuano il peso, anche psicologico, del bicchiere. Uno Spumante si deve bere a piccoli sorsi, non per giocare al degustatore sapiente (come nella parodia di Antonio Albanese), ma perché ognuno di noi può verificare quanto sia controindicato il sorso voluminoso: “scoppia” in bocca.
Se c’è una donna al tavolo, aumentano le possibilità che arrivi una bottiglia di Spumante. Non si parla della classica cena di seduzione, anche per un pranzo di lavoro l’orientamento è questo. Un alleato dello Spumante è il mare, ma molti hanno scoperto che sta bene anche su molti piatti di carne. Per quelli più impegnativi c’è sempre un Rosé. La bottiglia unica (di Spumante) allontana dall’abitudine e dal rischio di farne aprire due (una di bianco, una di rosso, fermi) come succedeva prima. E poi ci sono le componenti psicologiche. Da sempre definito il vino della gioia, lo Spumante è uscito dal calendario fisso (battesimi, compleanni, nozze, anniversari, lauree, festività importanti) per conquistarsi uno spazio nel quotidiano. Non gli serve una festa intorno, è già una festa in sé. Di profumi, sapori, sensazioni. Lo aiutano, al di là dell’intrinseca bontà (ma ne circolano anche di pessimi) le sue caratteristiche. Quello che il bicchiere trasmette è allegria, leggerezza, condivisione. Difficile berlo da soli, forse è l’unico neo. È una razione di ottimismo, un tiramisù liquido (con meno calorie). È una coccola, una carezza setosa per il palato, ma con un che di pirotecnico. In tempi in cui molti piaceri sono stati ridotti a peccati mortali, è un peccato veniale. Non dà alla testa, dicono in tanti. È vero, anche se è sempre meglio non esagerare. Dà ottimismo e una sensazione quasi di musica, con un accento che si sposta dalla vie en rose alla vie en rosé.

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