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La Repubblica

Il popolo
del buon bere
riparte da qui ... Nella sarabanda di notizie e di numeri, di consuntivi e di previsioni, spesso contraddittori, che precedono il Vinitaly, c’è forse un solo dato univoco, incontrovertibile: gli italiani ormai da anni bevono sempre meno vino. Sul perché la discussione è aperta, come anche sulle misure da prendere per arrestare o frenare la tendenza. E’ vero che il mercato interno è oggi meno importante per un sistema-vino sempre più proiettato verso l’export (che peraltro sta raffreddandosi), ma tuttavia rappresenta una quota vitale per le vendite della stragrande maggioranza dei produttori italiani, piccoli e piccolissimi, per i quali le vie del mondo sono irraggiungibili. Invecchia l’età media della popolazione e i giovani, così come i “nuovi” italiani, indirizzano le loro preferenze verso altre bevande, birra e bibite vane. I toni terroristici e le condanne indiscriminate di certe campagne antialcool, come se nelle discoteche i ragazzi si procurassero lo sballo con il Lambrusco o la Barbera, vanno esattamente contro i concetti di “consumo consapevole” e di informazione corretta. E non è un caso che al centro del congresso mondiale dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino, a Verona dal 15 al 20 giugno, sia stato posto proprio il tema della comunicazione al consumatore. Percorrendo la filiera, poi, è tutto un rimpallarsi delle responsabilità per il calo dei consumi: i produttori sostengono non a torto che fare vini migliori costa sempre più caro, ma spesso tirano troppo la corda sui prezzi; i distributori affermano che i rincari sono comunque eccessivi e a loro volta appesantiscono il costo del passaggio; i ristoratori lamentano la lievitazione dei prezzi ma hanno continuato per anni, anche dietro la spinta di certa stampa, ad acquistare vini di prezzo molto elevato ben al di là delle proprie capacità di venderlo (e spesso anche di pagarlo ai produttori e ai distributori), non fosse altro che per certi dissennati ricarichi proposti ai clienti che, ormai, raramente si permettono al ristorante più d’una bottiglia; le enoteche lottano per la sopravvivenza, ma i loro destino sembra segnato perché la grande distribuzione non può assicurare consigli personalizzati ai clienti ma vince sui prezzi... Tutti contro tutti, insomma, in una filiera arcaica, all’interno della quale non ci si parla e non ci si intende. Con il risultato che molte cantine, anche di primo piano, sono colme di invenduto e, paradossalmente, l’unico aiuto al mercato viene dalle vendemmie scarse, come quella del 2007. Rimedi intelligenti, pur se non risolutivi, per ridare un p0’ di fiato ai consumi? Primo comunicare “meglio” il vino; poi, rivedere la politica dei prezzi in tutti gli snodi della catena; soprattutto, incentivarne ovunque, dai bar all’alta ristorazione, il consumo a bicchiere, anche per le etichette più prestigiose. E’ quest’ultimo l’unico modo per avvicinare nuovi bevitori potenziali al vino di qualità senza pretendere che i neofiti si facciano carico dei prezzi inabbordabili delle etichette (presunte) migliori. Non basterà ad arrestare il calo, ma sarebbe già qualcosa se, nella filiera, ciascuno facesse un piccolo sforzo in queste direzioni.

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