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La Repubblica

I frutti avvelenati ... Al Vinitaly 2008 si respira un grande ottimismo, visto che il vino italiano riscontra un successo consolidato nel mondo e quest’anno sfodera grandi numeri. Come si potrebbe dare torto ai produttori, i quali giustamente si godono la ribalta. Due notizie però, potenzialmente dirompenti, di natura profondamente diversa tra loro, ma certamente non positive, hanno destato una certa preoccupazione. Al momento della stesura di questo articolo altre novità si stanno rincorrendo, ma è importante fare un distinguo prima di ogni commento.
La notizia che in alcune regioni 70 milioni di litri divino da tavola sono stati adulterati non può finire nello stesso calderone di quella riguardante il Brunello e il presunto utilizzo da parte di alcuni suoi produttori di vitigni non autorizzati o provenienti da regioni estranee al territorio della denominazione di origine. La prima si pone come una vera e propria sofisticazione: qualora venisse confermata l’assenza di rischi sanitari non viene meno la gravità dell’episodio. L’altra notizia invece è già un podi giorni che circola, ma certo in confronto alla prima appare più come un peccato veniale: sarebbe una frode commerciale.
Se non si fanno le dovute distinzioni nella comunicazione si rischia di creare un effetto a catena sul vino italiano di proporzioni gigantesche. Al di fuori dei nostri confini non aspettano altro che coglierci in fallo, non ci sarà interesse ad approfondire la notizia ed essa, man mano che si allontanerà dal suo baricentro, si farà sempre più confusa. Oltretutto desta preoccupazione che le prime reazioni del mondo del vino presente a Vinitaly si concentrino quasi esclusivamente sull’affaire Brunello, sottovalutando la portata che i 70 milioni di litri - seppur relativi a un mercato di bassa qualità - potrebbero avere nel trascinare a picco tutto il comparto. Quando avvenne la triste vicenda del vino al metanolo nel 1986 (e pare che una delle aziende coinvolte in questo nuovo scandalo sia recidiva) riguardava i vini a basso costo: i malfattori non appartenevano certo al gotha dei produttori virtuosi e di alta qualità, non andavano al Vinitaly per intenderci. Ma ricordo ancora la figura di un vecchio vignaiolo galantuomo, un barolista eccelso, che in televisione arrivò alle lacrime perché vide stroncato in un attimo il lavoro di una vita, anni e anni di semina buttati alle ortiche per colpa d’altri.
La magistratura dunque faccia il suo lavoro con la più assoluta in- flessibilità, e lo faccia il più velocemente possibile, perché i nomi dei sofisticatori coinvolti vengano fuori al più presto e si blocchino così i loro prodotti. Ma non confondiamo le carte: chi delinque non è ascrivibile alla categoria dei produttori. E pur vero però che alcuni di questi (e nel caso del Brunello i nomi si sono fatti subito, generando altro rischio di confusione) sarebbero caduti in una tentazione che certo non gli fa onore:
non avrebbero rispettato i propri disciplinari di produzione per sopperire a una mancanza della natura. Il vino dal punto di vista economico non è un prodotto assimilabile a molti altri del nostro made in Italy non si fabbrica, è un
frutto della terra. un prodotto soggetto alla variabilità del clima, nasce da un frutto fragile, ha limiti produttivi che la natura gli impone. Capisco che le aziende abbiano una loro struttura commerciale e l’esigenza di dare una certa continuità e regolarità ai loro conti, per cui è forte la tentazione, se capitano una o due annate cattive o scarse, di ‘rinforzare” i loro prodotti con uve estranee. Anche i nostri cugini francesi non sono esenti da queste pratiche, ma penso che tutto ciò sia un errore strategico, pi che un atto truffaldino.
Ci vuole il coraggio di accettare le annate storte e dico di più: esse sono un elemento di promozione importante per il produttore che non le immette sul mercato, testimoniano la sua serietà e correttezza. Credo anche che le economie piuttosto ricche di chi vende bottiglie a più di 30 Euro l’una - molta parte dei produttori italiani di qualità - consentano di effettuare operazioni di questo tipo senza subire contraccolpi fatali. Il fascino del vino del resto risiede proprio nella sua variabilità: altrimenti non avrebbe senso parlare di cru, di annate, di denominazioni, di tecniche. Il valore del vino si esalta nelle differenze e la produzione italiana da questo punto di vista ha potenzialità straordinarie, che fino ad oggi tanta brava gente ha saputo mettere a frutto, trainando anche turismo, immagine, identità, cultura.
Applicare le logiche del marketing senza tenere conto dei limiti della natura è un errore che può soltanto portare a queste tristi derive e da questo punto di vista anche la grande distribuzione che assilla i produttori con una domanda sempre più improntata su prezzi bassissimi, ridicoli e irrisori, non aiuta, anzi si fa motrice del circolo vizioso. E ciò che a suo tempo stimolò la produzione di vino al metanolo ed è ciò che oggi ha causato altre sofisticazioni. Ho voluto andare a verificare al supermercato:
ma come si possono proporre bottiglie e bottiglioni di vino a poco più di un Euro? E il consumatore, che cosa si aspetta di trovarci dentro? Mi farebbe meno paura un’invasione di vini dell’est europeo a prezzi bassi, ma di qualità sufficiente che certe etichette italiane improbabili che vediamo sugli scaffali della grande distribuzione.
Fatte le debite proporzioni tra grandi aziende e piccoli produttori, tra vini a basso prezzo e vini di altissima qualità, resta un solo fattore che dovrebbe guidare tutta la produzione di vino, un fattore sempre più spesso ignorato, troppo sfruttato, maltrattato: la natura. Il suo rispetto, il suo ritmo, è Imprescindibile se si vuole fare vino. Altrimenti si produce altro, e il passo da questo altro al veleno vero e proprio è troppo breve perché nessuno possa cadere in tentazione.

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