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La Repubblica

Nel fortino assediato del Vinitaly “Se continua così chiudiamo bottega” ... Tormento e sollievo. Il secondo giorno del Vinitaly è un chiaroscuro di umori ballerini, ansia e disperazione, rabbia e incredulità, giù giù fino al piacere insperato di scoprire che la “nuttata” di edoardiana memoria potrebbe, ma solo in parte, passata prima dell’alba.
Le certezze di colpa pronte ad annientare l’immagine della fiera vinicola più importante del mondo, con un movimento economico e sociale che vale 20 miliardi di euro,hanno lasciato il passo alla civile protesta di Luigi Castelletti. Il presidente della Fiera di Verona spiega a Repubblica che le smentite della procura di Taranto sulla presenza di sostanze velenose nei vini sequestrati sono un balsamo importante, “perché il Vinitaly è uno dei marchi italiani più conosciuti del mondo. Dobbiamo supportarlo e proteggerlo tutti insieme, vigilando e intervenendo là dove ci sono errori e mascalzonate, con equilibrio e serenità”.
Malgrado le dichiarazioni forti di pm e ministri, Castelletti teme ripercussioni pesanti sull’andamento delle giornate fieristiche: “Sarebbe terribile se i tantissimi buyer accorsi in questi giorni a Verona da ogni parte del mondo (oltre 20.000 nei primi due giorni di fiera, con un incremento del 25% rispetto alla scorsa edizione, ndr) si disamorassero del nostri vini per colpa di certe notizie”.
Del resto, per buona parte della giornata, sindrome di accerchiamento e odor di complotto hanno abitato i commenti di gran parte delle migliaia di addetti ai lavori, nei corridoi della fiera. Ancora una volta, nessuna pietà per i sofisticatori. In mattinata, Maurizio Zanella, uno dei produttori-simbolo della miglior Franciacorta, commenta lapidario: “Ben vengano i controlli, rigorosi ed estesi. E ben vengano le condanne di chi truffa e adultera, mettendo a rischio la reputazione di tutto il comparto”.
Ma truffe e adulterazioni ad alto tasso cancerogeno, così come raccontate nei primi resoconti, fin dalla prima mattinata avevano lasciato perplessi i produttori, a cominciare da Giorgio Grai, decano degli enologi: “Costruire un falso vino è facilissimo, senza bisogno di veleni particolari. Basta usare mosto, acqua, zucchero, un attivatore di fermentazione e un acido forte per bilanciare il ph”. Di fianco a lui, Sandro Cavicchioli, proprietario-enologo di una famiglia storica per la produzione del Lambrusco, rincarava la dose:
“Nemmeno il più malfattore dei malfattori può fare il vino con quella messe di agenti tossici. Non per remore morali, ma perché non ce n’è bisogno: già solo annacquando, i margini di guadagno aumentano a dismisura”. Il terrore di rivivere i disastrosi giorni del metanolo è stato un brivido lungo quanto l’intero quartiere fieristico, capace di arrivare fino alla sala di degustazione dove uno straordinario parterre de roi, dalla famiglia Antinori ai fratelli Allegrini, si è dato appuntamento per una degustazione-confronto tra i migliori dodici vini italiani della super vendemmia 1997. Un disagio collettivo e palpabile che ha indotto Roberto Contemo, produttore del mitico Barolo Monfortino, a rinunciare alla descrizione tecnica del proprio vino per lanciare un brindisi augurale “ai nostri grandi vini, che portano in alto la bandiera del made in Italy nel mondo”, suscitando un timido applauso.
Con l’avanzare delle ore, impossibile parlare d’altro, dalla postazione di Slow Food ai convegni della Grande Distribuzione. Ampelio Bucci, produttore-culto marchigiano, membro dei Vigneron d’Europa, associazione benemerita di vignaioli rispettosi di territorio e qualità, non si dava pace: “Degli oltre quattromila espositori del Vinitaly, almeno tremila sono famiglie di agricoltori, piccoli nuclei che cercano di lavorare bene. Guai se li mortifichiamo, mettendoli sullo stesso piano di pochi mascalzoni”. Di fianco a lui, John Pesci, importatore per il mercato cinese, sgranava gli occhi: “Un altro scandalo? Ma lo sapete che dopo il guaio delle mozzarelle, se passa l’equazione vino italiano uguale scandalo, possiamo chiudere bottega?”.
Finita la grande emergenza, è subito subentrata l’urgenza della riflessione. Dal vino non tossico ma comunque adulterato a quello semplicemente non conforme al disciplinare dell’inchiesta sui brunellisti, il passo è enorme. Però, ammoniscono i funzionari di Coop Italia: “Conta più la percezione che la mera perdita quantitativa. E la sfiducia nei confronti di un prodotto che serve a socializzare e a star bene, a ferire. Non è un caso che a essere colpita sia stata la cosiddetta clessidra del mercato, un grande vino come il Brunello e la fascia più bassa. Parlo da semplice cittadino: bisogna cominciare a dire che sopra e sotto un certo prezzo, si perde il rapporto con l’origine e si disimpara a distinguere il quanto costa dal quanto vale”. E Castelletti di rimando: “se si perde il senso del valore qualità-prezzo, ci perdiamo tutti”. A partire da chi spende più per un litro di benzina che per il vino da tavola.

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