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La Repubblica

Asini, prosecco e biciclette trionfa il contadino Marzio ... Il pezzo meglio della crono è il ciclonaturista Bruseghin Marzio: contadino, produttore di prosecco, allevatore-collezionatore di asini, profeta del ciclismo di qualità, nel senso della qualità della vita che, sia chiaro, viene prima di tutto. Abbasso lo sport monastico, quindi, e ancora di più quello farmaceutico: “Fatti due bicchieri che stai più sereno e magari vai anche più forte. Se non rendiamo più umano questo sport i giovani difficilmente ci si avvicineranno”.

Evviva Bruseghin Marzio, allora, che da buon veneto parla come Tognazzi ai tempi dei duetti con Vianello, ma ha le idee talmente chiare e le pedalate così potenti da conquistare simpatie e stendere, contro ogni pronostico (ma fino a un certo punto, visto che un anno fa si prese la crono di Oropa), i vari numeri uno che sfrecciavano sulla Pesaro-Urbino. “Quando ieri ho provato il percorso ho avuto la sensazione che mi stesse abbracciando. Una sensazione, solo quella. Ma, visto che mi capita ogni dieci anni, ho deciso di fidarmi”. Il Marzio è un tipo saggio, uno di quelli che dice: correre in bici è bello ma, in fondo, è sempre un gioco. Cioè: “Passato il traguardo inizia la vita”. Sì, ma era parecchio teso, lui, mentre, proprio dopo il traguardo, si gingillava in mano quel tempone in attesa dei favoriti veri: prima Kloden, più lento di lui di venti secondi. Poi Contador. E un lungo brivido chiuso da un sorriso: lo spagnolo gli resta dietro otto secondi. E sentite che signore il crono-country boy.

“Contador ha corso gli ultimi chilometri con l’asfalto bagnato e questo lo ha sicuramente penalizzato”. Troppo forte, il padrone di Urbino. Come i suoi tifosi. Li riconosci facile, perché in onore del loro eroe viaggiano sulle strade del Giro con delle orecchie d’asino in testa. Il che è una bella dimostrazione di coraggio, oltre che di affetto per questo corridore trentaquattrenne che da piccolo sognava la vita nei campi e oggi vive sopra Vittorio Veneto, circondato da quattro ettari di vigne e da ventitrè asini, l’ultimo dei quali di nome fa Romeo. “Forse, chissà, il prossimo che nasce lo chiamerò Urbino” spiega Bruseghin mentre tira fuori un bicchiere che poi è uno strano calice a cui manca la base. “Quando riempi un bicchiere bevi, e quando lo appoggi deve essere vuoto, a che serve la base?” Il suo prosecco si chiama Amets.

“In basco significa sogno. Io amo molto i baschi, perché somigliano a noi veneti: entrambi amiamo tantissimo la nostra terra”. E anche il suo taglio di capelli è basco style: quasi rasati sopra con una specie di sbuffo sulla nuca. “Strano eh? Beh, che ci volete fare, mica sono tanto normale”. Infatti lui è di un’altra razza. Quella di chi sa soffrire e lottare senza menarla troppo. E allora ecco una vittoria che significa anche 2 minuti e 4 secondi strappati a Riccò e 2 minuti e 11 a Di Luca. “E’il mio tesoretto”, dice il Bruseghin Marzio, il ragazzo che ama l’odore della terra e adesso spera di volare alle Olimpiadi. “Sarebbe il massimo”. E che ci vuole: un prosecchino e via, il nuovo ciclismo ricomincia da qui.

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