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La Repubblica

I segreti del miele sotto il vulcano ... Il presidio Slow Food difende un prodotto: esotico, sicuramente debole, ma in grado di conquistare al primo assaggio. Al Salone del Gusto si avrà riprova di tutto questo. Ma un Presidio difende soprattutto le condizioni ambientali necessarie affinché quel prodotto possa trasmettere, una volta in bocca - o anche soltanto ben raccontato - tutta la sua carica di gusto e cultura. Un Presidio dunque difende gli uomini e le donne che sanno fare quel particolare alimento, le loro conoscenze, il territorio in cui vivono, le delicate economie locali in cui si è sedimentato nel tempo, nel rispetto degli ecosistemi e dando chance importanti alle comunità. Il presidio va visto al di là dell’eccellenza gastronomica che può comunicare e che al Salone del Gusto sarà sicuramente in vetrina: esso rappresenta la nuova gastronomia che non si limita al gusto organolettico, è il gusto di una rinascita della cultura - in gran parte contadina - che sa produrre un sistema virtuoso per la terra. è la cultura di cui sono portatori i rappresentanti delle comunità di Terra Madre, molto diversi tra loro, provenienti da ogni parte del pianeta, ma accomunati da questa sensibilità per la natura e l’armonia delle cose con gli uomini. Ogni prodotto delle comunità di Terra Madre - anche il più semplice e povero, sfama la comunità e rispetta la biodiversità: è come un Presidio; di economia locale e reale, di civiltà contadina, di valori non più tanto presenti nella nostra società italiana; come lo scambio, la memoria, il rispetto e la pace. Le comunità del cibo (anche quelle dell’urbanizzato Nord Italia o degli opulenti Stati Uniti) hanno una strada tracciata da seguire: produrre il cibo come hanno sempre fatto, all’interno di un sistema virtuoso e locale. Niente viaggi intercontinentali, futures sulle commodities alimentari, sprechi (dal campo al cassonetto sul retro del supermarket); niente avvelenamenti del suolo né alienazione da cemento. Nelle vallate pirenaiche dell’Aquitania come in Tabasco, Messico, c’è il segreto per ricostruire il sistema del cibo nel mondo, partendo dai singoli luoghi, da ciò che le comunità di contadini, pescatori, nomadi e piccoli artigiani fanno da secoli: economia locale. Il loro stile dovrebbe essere lo stile di tutti, anche delle industrie alimentari più globalizzate e globalizzanti. Tutto ciò lo si vede ancora in molte regioni italiane, ma in tanti paesi del mondo, almeno quanti sono quelli da cui provengono le comunità del cibo di Terra Madre, centocinquantatré. Tra tutte, ho avuto la fortuna di vedere l’esperienza di Wenchi, nella regione Oromia, a non molti chilometri da Addis Abeba, in Etiopia. Gli abitanti di questo villaggio situato sulle pendici di un monte vulcanico, nel cui cratere c’è oggi un lago, fanno sì un miele strepitoso, ma sono anche e soprattutto il Presidio del loro territorio e della loro felicità. Vivono in decorose capanne, mantengono tutto pulito e ordinato: non ho visto rifiuti di nessun tipo. Ci tengono all’accoglienza e sono rimasto esterrefatto quando mi hanno salutato con le chioccioline di Slow Food appuntate al bavero delle loro giacche da festa, lise. Gli erano state regalate da qualcuno durante la scorsa edizione di Terra Madre, nel 2006. Ti accompagnano volentieri con dei piccoli cavalli ad ammirare dall’alto lo spettacolo del lago e poi ti offrono, dispensando sorrisi, insegnandoti i loro canti e balli, un pasto eccellente in una piccola costruzione che è il ritrovo del paese, il luogo della socialità. Alimenti semplici e poveri, un po’di preparazioni di carne e intingoli da consumare con le mani, servendosi dell’injera, un pane piatto, spugnoso e acidulo, ricavato con il teff, il cereale etiope: tutto degno di un’ottima cucina da ristorante, come ho potuto poi constatare nei migliori locali della capitale etiope. Ecco, a me piace pensare che dietro al loro miele ci sia tutto questo: il loro orgoglio, la loro capacità di produrre, il loro attaccamento al luogo in cui vivono, che rispettano e conservano. E mi piace pensare che tutto questo, con diversi colori, climi, facce, colonne sonore, c’è dietro a ogni prodotto di ogni comunità di Terra Madre, anche se non l’ho mai assaggiato, non l’ho mai visto, non ne conosco le caratteristiche e neanche ne immagino l’esistenza. Le comunità di Terra Madre sono 1.678 e non si può conoscerle tutte, e nel mondo ce ne saranno ancora molte altre che producono e vivono il territorio con questo stile, che ha i piedi per terra, la memoria del passato e la testa nel futuro.

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