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La Repubblica

Cucina del Mito. A tavola con gli dei ... C’era una volta. Comincia così la storia del cibo: costruita, scoperta, vissuta, forse solo immaginata, comunque raccontata e tramandata da migliaia di anni a oggi. E poco importa se davvero Paride incoronò Venere prima miss della storia, assegnandole una mela d’oro, o se i compagni di Ulisse mangiarono l’intruglio drogato di cacio, miele e farina che permise a Circe di trasformarli con un sol colpo di verga in maiali. Regalare al cibo un significato rituale, renderlo fatato, imprigionarlo nelle pagine della storia o della mitologia sono pratiche complementari al cammino dell’uomo, capaci di coinvolgere memoria e palato, stomaco e cuore, fame e intelletto, che si parli dell’agnello sacrificale o delle brioche di Maria Antonietta, del nettare degli dei o delle frittelle di Hansel e Gretel. Incubi e fiabe, racconti horror e novelle erotiche, proverbi e scioglilingua: cibo e mito, il nutrimento e la sua giustificazione psichica vanno allegramente a braccetto, a volte smarrendo il valore simbolico originario, a volte moltiplicandolo. Così, abbiamo imparato che “il vino fa buon sangue”, buttare il pane avanzato è un sacrilegio, il pranzo tradizionale di Pasqua prevede l’agnello, e i chicchi della melagrana portano soldi e buona sorte. Perfino i fumetti, eredi delle fiabe in versione moderna, hanno fatto la loro parte, salvando alcuni cibi dall’elenco degli odi alimentari infantili: intere generazioni di bambini sono cresciute mangiando gli spinaci grazie ai bicipiti di Braccio di Ferro e hanno scoperto il potere energizzante delle noccioline insieme a Superpippo. In altri casi, più che la polpa poté la bellezza, se è vero che la varietà Starck Delicious della Val Venosta è stata proposta sul mercato come “mela di Biancaneve”: malgrado la fama sinistra di frutto avvelenato, la perfezione di forma e colore ha garantito il suo successo. Grazie alla forza dei miti, più forti perfino delle pratiche delle multinazionali - tra ogm, fitofarmaci e sfruttamento intensivo della terra -, antichissime metodiche agricole stanno restituendo vita ai campi e salubrità ai prodotti: vini fermentati per mesi nelle anfore interrate, corni di bue polverizzati come fertilizzanti, il ritmo delle fasi lunari per seminare, potare e raccogliere. Briciole persistenti di mito anche nelle cucine degli chef più sensibili: Riccardo Caminini (“Villa Fiordaliso”, Gardone Riviera, Brescia) sale quotidianamente a quota milleduecento metri per assicurarsi il latte crudo con cui mantecare uno strepitoso gelato di crema. Norbert Niederkofler (“St. Hubertus”, San Cassiano, Bolzano) ha affiancato ai piani a induzione una cucina economica con forno a legna per assicurarsi cotture lente e odorose di natura. Gabriele Bonci (“Pizzarium”, Roma) appende i contenitori dei lieviti madre con cui impastare pizze e pani sotto le fronde degli alberi “amici” delle farine da lavorare, per arricchirne i fermenti. Se volete chiudere in bellezza, consultate il Dizionario dei mieli nomadi (Corraini Edizioni) per scoprire la ricetta dell’idromele, la prima bevanda fermentata conosciuta dall’uomo e - pare - molto apprezzata dagli dei. Perfetta per un brindisi ineccepibilmente mitico.

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