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La Repubblica

Il made in Italy degli immigrati ... Le cronache raccontano: “Fatti gravi avvennero a Minervino nelle Murge (un medico, per allontanarli dalla sua casa, in cui la moglie era gravemente inferma, sparò sui dimostranti uccidendone uno e fu a sua volta ucciso), a Molfe ta, a Bagnacavallo, ad Ascoli Piceno, a Piacenza, a Torre Annunziata, a Sesto Fiorentino, a Soresina, a Livorno, quasi dappertutto con morti (tre, quattro, cinque per località) e molti feriti fra i dimostranti”. Si parla di braccianti agricoli che scioperano e subiscono violenze, ma siamo nella primavera del 1898, all’alba di un Sol dell’Avvenire che forse sembrava tramontato, ma non lo è per niente ed ha cambiato pelle. È nera o scura, ha gli occhi a mandorla o parla con accento Est europeo. Sono i braccianti che popolano le nostre terre, il popolo d’immigrati che svolge i lavori che non vogliamo più fare, i più umili e indispensabili. Primo tra tutti quello agricolo. Con tempestività e un po’ di scaltrezza politica si è proposto, dopo i fatti di Rosarno, di introdurre un’etichettatura etica per i nostri cibi, come avviene in alcuni casi per i palloni da calcio e per l’abbigliamento. Temo che non sarà con un’ulteriore etichetta che aiuteremo le persone nel diritto-dovere di essere informate su ciò che mangiano. Nemmeno faremo un buon servizio a un made in Italy agroalimentare tanto sbandierato ma che in realtà nasconde sempre di più quella pelle scura, i tratti somatici esotici, molte lingue che non ci sogniamo di comprendere. Gente sempre più indesiderata, ma insostituibile. È il made in Italy dei macedoni che coltivano le vigne del Barolo, dei Sick indiani che mungono le mucche in quella chiamata Padania, dei maghrebini che fanno la Fontina in Val d’Aosta e degli ex-sovietici che raccolgono la frutta e la verdura nelle zone vocate...

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