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La Repubblica

Era un lavoro da uomini ma oggi il brindisi è tutto per noi ... Ho bevuto il mio primo bicchiere di vino a diciott’anni. In realtà, molto più di un bicchiere... Ero a cena con un amico. Mi disse: assaggia. Provai. Mi piacque senza riserve. Questo è il vino? Buono! Mi ubriacai. Da quel momento, il vino è entrato a far parte della mia vita. Mi sono incuriosita, ho cercato di capire. Mi facevo delle domande che adesso sembrano stupide: perché un vino era frizzante o come da un’uva rossa potesse nascere un vino bianco. Compravo libri, parlavo con gli esperti. Era il 1979, a Milano, la mia città, l’Associazione italiana sommelier metteva in piedi i primi corsi. Mi sono iscritta. Ero come una spugna: assorbivo le informazioni, le bevevo. Provai subito a inserirmi nel nuovo ambito, purtroppo le donne latitavano, gli uomini non si fidavano. Ma era un muro destinato a cadere: con il secondo anno di scuola e una maggiore professionalità da spendere, rifiutarmi fu più difficile. All’inizio, qualche degustazione in enoteca, qualche consulenza. Poi sono stata scoperta da “Alto Palato”, l’associazione di Tony e Terry Sarcina che organizzava corsi e cene di alto livello con diplomatici, industriali, ospiti stranieri. In quegli anni, il mio punto di riferimento era Luisa Ronchi, che aveva fatto i corsi da sommelier in Francia. Figlia di un grande professionista del vino scomparso quando era ragazza, aveva deciso di continuare da sola il mestiere del padre. Poi, i primi riconoscimenti pubblici. Responsabile dei servizi di sommelerie al G6, collaborazioni con i grandi cuochi del momento, Ezio Santin, Gualtiero Marchesi, Sirio Maccioni. Con loro ho capito che il vino non era solo abbinamenti, prestigio, forma: mancava la comunicazione, la condivisione di un piacere, di una forma di cultura. Un giorno, mi offrirono di comprare un’osteria sui Navigli. Era il mio sogno. Decisi in fretta, pagai l’acconto. Una settimana più tardi, Sirio Maccioni mi propose il posto di sommelier nel suo locale, il mitico “Le Cirque” di New York. Era il 1986, imperava la nouvelle couisine e i grandi vini si bevevano solo nei ristoranti di lusso. Ho ringraziato Maccioni e sono andata dietro al mio sogno, aprendo un posto dove si mangiava stufatina di asinella e si beveva Barolo al bicchiere. Cucina aperta fino alle due di notte, salumi e formaggi andavo a cercarmeli di persona, cucinava il mio socio, Licio, io facevo i dolci. Nel 1988 al Vinitaly, insieme alle altre poche professioniste presenti, abbiamo fondato l’associazione Donne del Vino. Eravamo convinte che le donne fossero perfette per interpretare e comunicare questo mondo apparentemente solo maschile. Nessun compromesso: accettavamo come socie solo donne che fossero impegnate in prima persona. Le responsabili erano grandi donne del vino: Elisabetta Tognana, la prima presidente, e poi Franca Maculan, Giuseppina Viglierchio, Laura Bianchi. Siamo cresciute tanto, il muro è stato abbattuto. Naturalmente, nel mio locale, dove oggi serviamo i ravioli di pelle di latte al posto della stufatina di asinella, si continua a bere Barolo al bicchiere. E poi Champagne, Pinot Grigio, Aglianico...

Maida Mercuri

Gestore dell’enoteca-ristorante milanese “Pont de Ferr”

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