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La Repubblica

Vini italiani carattere aperto ... Nel mondo si beve meno. Ma il made in Italy difende i fatturati cercando le risposte giuste. Migliorando, per esempio, il rapporto fra qualità e prezzo. E, a nord come a sud, si insiste sulle varietà più apprezzate dal grande pubblico. Dal Bianco di Custoza al Negroamaro... Più ombre che luci sul futuro prossimo del vino italiano che, alla vigilia di Vinitaly, mette in campo i consuntivi del 2009 e cerca di leggere la tendenza di questi primi mesi dell’anno. Apparentemente contraddittori ma in realtà univoci, i numeri confermano che la febbre è ancora alta: l’annuale rapporto di Mediobanca sul settore segnala che nel 2009, per la prima volta da molti anni, il fatturato dei 99 principali gruppi italiani è in calo (meno 3,2 per cento), contro la crescita del 2 per cento del 2008, del 7,1 per cento del 2007 e del 4,9 per cento del 2006. Secondo Mediobanca il settore sta reagendo al momento critico - cantine piene di prodotti e domanda in contrazione - anche con un progressivo calo dei prezzi: il made in Italy l’anno scorso ha abbassato i listini per l’export mediamente dell’11 per cento. Secondo altri dati ancora ufficiosi, sul mercato interno le vendite hanno subito un forte calo, meno 9 per cento in valore e meno 1,3 in volume; l’export, viceversa, sfiorando i 20 milioni di ettolitri, ha toccato un livello mai raggiunto, con un incremento del 10,2 per cento in volume, cui però ha corrisposto un calo del 5,4 per cento in valore. Ma non c’è molto da rallegrarsi. Cosa è successo? Semplicemente, pur di vendere, i produttori italiani hanno abbassato i prezzi e declassato a una qualità inferiore i propri vini, puntando cioè sugli “sfusi” (vini destinati a essere imbottigliati e smerciati dagli importatori esteri) per tentare di arginare la concorrenza dei nuovi produttori cileni, argentini, sudafricani, neozelandesi e soprattutto australiani. Infatti proprio l’Australia è oggi il primo paese fornitore del mercato Usa, il più importante del mondo, davanti all’Italia che segna il passo, così come perdono sensibili quote Francia, Germania e Spagna su un mercato, appunto quello americano, che si dimostra sempre più orientato ad acquistare vini sfusi anziché in bottiglia. Bevono di più gli americani ma bevono peggio, se è vero, come è vero, che le loro preferenze vanno ai vini sfusi australiani e cileni con prezzo all’origine fra i 49 e i 68 centesimi di dollaro al litro, contro un prezzo medio di 3,46 dollari al litro dei vini imbottigliati. E anche se segnali positivi arrivano dai mercati per ora esigui del Far East e della Russia, nel complesso dei paesi extra Unione Europea crescono sì i volumi ma cala il valore dell’export. Tutto grigio il futuro, dunque? Non per tutti: secondo un sondaggio realizzato da Wine News, il più seguito sito web italiano sul vino, il 75 per cento delle 25 maggiori aziende italiane prevede per quest’anno un fatturato in crescita, grazie a una ripresa attesa a partire dalla seconda metà dell’anno. E in effetti danno segni di risveglio mercati importanti come Germania e Regno Unito, dove cresce la domanda di spumanti e vini in bottiglia. Da qui l’orientamento dei produttori di concentrare sforzi e risorse sull’export, sollecitando il governo ad attuare politiche di sostegno per ogni iniziativa di promozione mirata a “far sistema”.

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