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La Repubblica

Chef l’Italia non decolla solo in sei al top … La Rossa al tempo della crisi. Giunta all’edizione numero 56, la guidas Michelin Italia presentata ieri regala una doppia certezza: la prima è che siamo sempre tra i Paesi intermedi nel pianeta dell’alta gastronomia, la seconda ci ammonisce che l’ancoraggio alla tradizione vale più della ricerca. Con queste chiavi di lettura, riesce più facile interpretare i criteri di scelta per cui la cucina oggi più amata nel mondo, da Tokyo a New York, non riesce a oltrepassare il tetto dei sei Tre Stelle, raggiunto lo scorso anno con l’iserimento di “Vittorio”, Bergamo, dopo lunghe stagioni di oblio. Allo stesso modo, quest’anno due sole le promozioni in fascia alta: passano infatti da uno a due stelle l’altoatesino “Jasmin” e il maremmano “Bracali”. Sono orgogliosi i responsabili della Rossa, del numero di ristoranti premiati con la prima stella, ben 32, per un totale di 233 locali che se ne possono fregiare (a fronte dei 21 che l’hanno persa). In effwetti, il totale di 276 stelle è il più alto della storia gastronomica nazionale. Però, complici dimissioni e dismissioni, il il via vai di stelle degli utlimi anni stride con la costanza di orientamento, tra esercizi premiati dopo appena qualche mese dall’apertura e altri valutati ben al di sotto delle aspettative. Su tutti, i casi di Massimo Bottura e Paolo Lopriore. Il primo ha tenuto a battesimo lunedì la nuova edizione di “Gastronomika”, il prestigioso congresso di cucina di San Sebastian, acclamato e complimentato. Per lui due stelle che non riescono a diventare tre, “forse perché non mi ritengono ancora maturo”, chiosa il modenese, premiatissimo nelle classifiche internazionali e catapultato dall’ultima guida Espresso a un sospiro dalla perfezione assoluta, con il 19,75/20. Molto peggio è andata a Lopriore, escluso per il secondo anno consecutivo dalla pletora degli stellati. Il cuoco del “Canto” di Siena è stimato e ammirato come forse nessun altro, a partire da Gualtiero Marchesi, che nno esista a definirlo il più geniale dei suoi allievi. Eppure, malgrado già l’anno scorso la sua bocciatura fosse stata definita unanimemente “scandalosa”, la guida 2011 l’ha blandito con una frase incantatrice (“Inebriante esperienza gastronomica”) e bachettato con tre misere forchettine. Certo,, le piccole grandi ingiustizie fanno parte della storia di tutte le bibbie enogastronomiche. Resta il fatto che la guida più popolare e temuta a livello planetario continua ad applicare all’Italia dell’alta gastronomia un modello di valutazione unico tra le sedici edizioni pubblicate ogni anno in giro per il mondo. Così, se il fascino del patronage familaire, la presenza assidua dello chef, la compenetrazione tra cucina e territorio hanno smesso da tempo di essere dirimenti in Patria - altrimenti il mamanger Ducasse non avrebbe nemmeno una stellina - e hanno poca o nulla influenza in Giappone come a Londra, qui continuano a funzionare alla grande. Diverso e particolare risulta invece l’incorcio tra i primi della classe delle tre guide maggiori - Espresso, Gambero Rosso e Michelin – con “La Pergola” del tedesco Heinz Beck che riesce migliore ristorante d’Italia, seguita a ruota da “Pescatore”, “Calandre”, “Enoteca Pinchiorri”, ovvero quattro stili quasi identici di interpretare l’alta cucina da una parte all’altra d’Italia: in pratica, il sogno realizzato della guida del Bibendum, il pupazzo tutta ciccia e pneumatici nato per accompagnare i viaggiatori del buon mangiare.

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