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La Repubblica

Centenari si nasce. “Lo stile di vita conta meno dei geni” ... Uno studio Usa smonta il mito del salutismo: non è decisivo... Non c’entrano il sushi di Okinawa, l’aria pura della Barbagia o la bassa concentrazione di ossigeno del Nepal. Al riposino pomeridiano o al sudoku come segreto per raggiungere il secolo di vita nessuno aveva mai creduto sul serio. Ma ora, sorprendentemente, gli scienziati ridimensionano anche l’importanza di quelle regole che sembravano scalfite nella pietra, come il non fumare, il mangiare sanoe il dedicarsi all’esercizio fisico. I 500 centenari arruolati nello studio dell’Albert Einstein College of Medicine di New York mangiano, bevono, fumano e si lasciano andare ai piaceri dell’ozio esattamente come il resto delle persone, che sono destinate a interrompere il loro cammino nella vita a un’età media tra 75 e 80 anni. Lo ha osservato il direttore del centro di ricerca sull’invecchiamento dell’Einstein College of Medicine, Nir Barzilai, che spiega così i risultati della sua ricerca: “Nei centenari il ruolo di ambiente e stile di vita non è primario. A contare sono soprattutto i geni. I grandi anziani hanno un patrimonio del Dna capace di contrastare i danni di comportamenti poco sani”. Per la loro ricerca, pubblicata ieri sul “Journal of American Geriatrics Society”, i medici di New York hanno arruolato 477 ebrei aschenaziti tra i 95 e i 112 anni, tutti in buona salute. L’esempio più sorprendente di quanto sia difficile orientarsi fra le radici di una vita lunga è quello di Helen Reichert, 109 anni, detta “Happy”, che ama farsi fotografare con una sigaretta in una mano e un bicchiere di vino nell’altra. Suo fratello Irving a 105 anni non salta un giorno nel suo studio da consulente finanziario, mentre solo il più giovane della famiglia, a 100 anni, non esce quasi più di casa. La scelta dell’etnia aschenazita si spiega con l’omogeneità del loro Dna, che permette di far risaltare meglio gli eventuali “geni della longevità” di cui i ricercatori di New York sono accaniti cacciatori. Ai centenari, i medici hanno chiesto ogni dettaglio sullo stile di vita adottato all’età di 70 anni. Poi hanno messo a confronto le risposte con i dati che erano stati raccolti tra il 1971 e il 1975 su un gruppo di settantenni “normali”: che non hanno superato cioè l’età media della popolazione americana. Tra i centenari, il 24% ha ammesso di aver bevuto regolarmente (anche se in maniera moderata): addirittura più della popolazione normale che si fermava al 22%. Fare ginnastica era il loro ultimo pensiero: solo il 43% dei centenari si impegnava nell’attività fisica contro il 57% del gruppo di controllo. Se il numero di fumatori è equivalente fra longevi e “normali” (circa uno su tre), fra i grandi anziani il tasso di obesità è meno della metà rispetto alla media. “Il nostro studio non vuole sminuire l’importanza dello stile di vita” si affretta a dire Barzilai. “Semplicemente, dimostriamo che i grandi anziani sono una categoria a parte. A differenza delle persone normali, i loro geni li proteggono dagli insulti dell’ambiente”. La conseguenza logica di questo studio sarebbe cercare di capire perché il Dna dei centenari è speciale. Ma qui gli scienziati si muovono ancora come chi cerca un ago in un pagliaio. “I risultati ottenuti fra gli aschenaziti di New York non coincidono con quelli dei centenari italiani. Segno che i cosiddetti geni della longevità, oltre a essere numerosi, variano da una popolazione all’altra” spiega Claudio Franceschi dell’università di Bologna, coordinatore del progetto europeo “Geha, genetica dell’invecchiamento in salute”. “Ma al ruolo dei geni credo molto anch’io. Abbiamo studiato dei 70enni con genitori molto longevi e li abbiamo trovati molto più forti e in salute della media. Quanto alle sigarette, però, di fumatori nei miei studi ne vedo assai pochi”.

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