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La Repubblica

Marsala, dalla padella alla botte ... Un’intuizione: evitare che il vino fermenti, aggiungendo alcol. Una sorpresa: così “fortificato”, il vino non si rovina, anzi. Un successo annunciato: a fine Settecento, il porto di Dio (Marsa Allah, ma anche Mare Salis, a identificare le vicine saline)
diventa terra di occupazione enologica da parte dei mercanti inglesi, pronti a trasformare in lucroso import-export la produzione di quel vino denso e aromatico, magnifica alternativa al più costoso Porto. Certo, il ricco commerciante John Woodhouse non scopre nulla, se è vero che già Plinio il Vecchio incensava la tessitura setosa e il profumo inebriante del Mamertino, nome originario poi mutuato in Perpetuum, mentre a metà Seicento il pittore fiammingo Rubens se n’era partito da Marsala per Anversa con una robusta provvista alcolica al seguito. Ma questa volta è la tecnica a fare la differenza: gli inglesi conoscono i segreti della fortificazione e le magie del metodo Soleras, quello dei passaggi a caduta del liquido nelle botti di legni diversi. Il marsala così affinato rapisce il palato dei britannici, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Victory Wine”, dopo la vittoria a Trafalgar, omaggio postumo all’ammiraglio Nelson, che molto l’apprezzava, ne aveva scritto in termini entusiastici: “Questo vino è talmente buono di essere degno della mensa di qualunque gentiluomo”.
Il dominio inglese del marsala finisce virtualmente nel 1833, quando l’imprenditore Vincenzo Florio, calabrese trapiantato a Palermo, comincia a produrre il vino per conto proprio, rivaleggiando in qualità e abilità commerciale, al punto da inglobare a metà secolo l’azienda Woodhouse. In scia alle Cantine Florio, Diego Rallo e Paolo Pellegrino, si convertono alla viticultura. I loro cognomi, insieme a Florio costituiscono ancora oggi il trittico nobile della produzione di marsala.
La discontinuità nel valore del vino è figlia di decenni di trascuratezza. Una caduta lenta e inesorabile, che negli anni Settanta ha ridotto il marsala a condimento per scaloppine o base di un liquore all’uovo. Per fortuna, a metà degli Ottanta la nuova generazione dei produttori investendo nel benessere della campagna e attivando pratiche di vinificazione virtuose, ha restituito il marsala - Vergine se da bacca bianca e addizionato semplicemente d’alcol prima dell’invecchiamento, Superiore se “conciato” col mosto e affinato - all’empireo dei vini liquorosi. Per festeggiare gli ottant’anni del marsala - nell’ottobre 1931 venne fissato per legge il territorio di produzione - regalatevi un weekend di sole&mare in occasione del Pellegrino Cooking Festival, in questi giorni alle Torri Pellegrino. Le cene saranno curate da alcune tra le migliori chef italiane (più un palo di supercuoche straniere), a sottolineare l’impronta tutta femminile della cantina, dalla cofondatrice, l’enologa francese Josephine Despagne, al terzetto di donne oggi impegnate nella gestione aziendale. Al momento dell’aperitivo, rubate una scheggia di ragusano dop stagionato e alternate formaggio e marsala. Se intonerete sottovoce God Save the Queen, nessuno si stupirà.


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