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La Repubblica

VivereSlow ... I grandi vini, il tartufo bianco e un paesaggio che in autunno è al suo meglio: qui si trova la “Trattoria del peso”, una garanzia di qualità ... In queste settimane le Langhe sono una delle mete più battute dal turismo enogastronomico: è in stagione il tartufo bianco, ci sono i grandi vini, fior di ristoranti, paesaggi ancor più belli grazie ai colori d’autunno. Il territorio è molto ben attrezzato per accogliere e servire a dovere: l’esperienza turistica può essere di livello. Tuttavia, come in ogni altro luogo turistico del mondo, quest’esperienza è difficile che riesca a raccontare in maniera totale quel complesso intreccio di storie umane, agricoltura, piccoli riti, abitudini, modalità di consumo del cibo che nel corso dei decenni codificano ciò che poi il turista ricerca. Le Langhe si possono riassumere in una grattata di tartufo bianco o in un bicchiere di Barolo? Va da sé che queste sono - pur se eccezionali - delle forme di approssimazione che inevitabilmente finisco con il non dire tutto. Piercarlo Grimaldi, rettore dell’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, si è spinto a scrivere in tema un breve saggio intitolato Tristi Langhe, parafrasando il celere lavoro di Claude Levi-Strauss, Tristi tropici. Allora, per vivere un po’ più slow le Langhe, voglio consigliare un’esperienza che sarà quasi “antropologica” per chi non è “indigeno”, e che vale anche per i langaroli che l’avranno ben presente, almeno nella memoria. È il rito del pranzo della domenica in osteria, che tutte le famiglie locali hanno praticato almeno una volta in occasione di qualche ricorrenza, sul quale si è costruita buona parte dell’impianto di ricette che ha reso famose le Langhe, e che è sempre più difficile ritrovare. Si tratta di una sequela lunghissima di antipasti, almeno un paio di primi e secondi, dolci a profusione: tempi lunghi a tavola, estrema convivialità, un antico modo di esorcizzare la fame (memoria non troppo lontana da queste parti) almeno nelle grandi occasioni. C’è un che di pantagruelico certo, ma questa era vera consuetudine presso tutti i ceti della popolazione. Per poterlo rivivere oggi ci vuole il luogo adatto. Andate a Belvedere Langhe, appena sopra Dogliani e i luoghi natali di Luigi Einaudi, ammirate i panorami e fermatevi difronte alla pesa pubblica, vecchio punto di ritrovo comune a tanti paesini italiani a vocazione agricola e sempre più “a rischio di estinzione”. C’è la “Trattoria del peso” che si sviluppa in una vecchia casa, con due ingressi uno dei quali dà su una bottega che sembra ferma nel tempo e che ancora vende formaggi locali, prodotti alimentari, sigarette, merce varia. La trattoria è gestita più o meno da un secolo dalla famiglia Schellino. La meravigliosa signora Piera ne è l’anima fin dal 1948, prima con il marito Pinotu, oggi con i figli Mauro in cucina, Ezio (appassionato collezionista di libri antichi di gastronomia) e Ilde in sala. In settimana a pranzo ci troverete agenti di commercio, operai e muratori che si sfamano con il ridotto ma consistente menu a 12,50 euro, la domenica invece menu fisso a 30 euro con ogni bendi dio. Un piattino di nocciole e fette di salame darà il via a grandi porzioni di paté di tonno, frittate, carne cruda, vitello tonnato, piccolo fitto piemontese. E poi tajarin, agnolotti del plin, risotto al funghi, stracotti e tutti i classici della cucina langarola per finire con bonet, panna cotta, pere al vino. Dolcetto come se piovesse tra famiglie è comitive che celebrano un rito che resiste nonostante tutto: questa è Langa vera e, senza dubbio, la meno passibile di diventare “triste”.


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