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La Repubblica

Via i tappi nelle vie dei borghi ... Chi si ricorda ancora dell’estate di San Martino? Pure ci siamo in pieno, in quei giorni di pallido sole che spunta dalla nebbia. I giorni ricordati da Carducci nell’omonima poesia, da tutti studiata a memoria fin dalle elementari, quelli del “ribollir dei tini” e dell’“aspro odor dei vini” che riempie le vie dei borghi d’Italia. Era così 150 anni fa, lo è ancor oggi. Dall’Irpinia al Chianti la vendemmia è ormai finita. E nelle cantine di ogni regione stanno maturando i vini che allieteranno la nostra tavola dalla prossima primavera. O più in là nel tempo.
Perché aspettare tanto però, quando è già possibile bere 1’ anteprima di questa vendemmia? I vini novelli, certo. Li ha inventati un enologo francese mezzo secolo fa, accelerando la fermentazione del mosto con il metodo della macerazione carbonica. Il risultato è stato il Beaujolais Nouveau, il vino per cui Oltralpe, una volta l’anno (e quest’anno sarà il 15 novembre, la data fatidica) tutta la Francia scende nei bistrot per festeggiare l’arrivo del vino nuovo. Noi li abbiamo seguiti e ci siamo inventati i Novelli. Vinelli rossi leggeri, simili nel gusto, fresco, aromatico, a quelli che già secoli fa venivano bevuti per festeggiare la fine della vendemmia. Adesso però anche questa moda sta passando. Ma più che di crisi però bisogna parlare di riconversione dei consumatori. Se vent’anni fa l’Italia dei bevitori era appena alfabetizzata, oggi beve meno, ma beve meglio. E sa che può bere “leggero” senza ricorrere ai Novello. Perché l’Italia è un paese pieno di vini facili e felici: c’è, ad esempio il gran ritorno del Lambrusco, per anni considerato figlio di un dio minore, ed oggi riscoperto come il liquido ideale per accompagnare i grandi salumi della Bassa. Il compito per altro per cui è nato. E questo weekend di “cantine aperte” (oltre duecento da Nord a Sud, vedi il sito del Movimento Turismo del Vino) è l’occasione giusta per provare i vitigni autoctoni come il Pelaverga o il Ruché, ma anche la Freisa e il Grignolino in Piemonte, il veneto Marzemino, la Schiava e il Teroldego in Trentino, il Frappato in Sicilia (e molti altri), piccoli grandi vini rossi, adatti a ogni occasione e a ogni piatto. E a tutte le tasche. Bicchieri a basso rischio alcoolico che riducono i danni collaterali, sul fronte del codice della strada e della salute. Come le bollicine, sempre più di moda: il Prosecco (al Wine Future di Hong Kong si è detto che entro 20 anni, il mondo ci chiederà di produrne un miliardo di bottiglie l’anno), ma anche i Franciacorta, i Trento, gli Alta Langa e per chi ama i vini dolci, la straordinaria piacevolezza del Moscato d’Asti (prova- telo con una torta Monte Bianco) forse il vino con le maggiori potenzialità di crescita sui mercati stranieri. Perché se la Francia ci ha di nuovo superato perla quantità di vino prodotto nel 2011(49 milioni di ettolitri contro i 42 nostrani) sul piano della qualità davvero cominciamo a non aver più paura di nessuno:
nei primi sei mesi dell’anno le esportazioni divino hanno portato nelle casse dell’Italia oltre 2 miliardi di euro. Insomma, bere Barolo e Brunello non è solo più un piacere per il palato.

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