02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

La Repubblica

Il gentiluomo di Verona ... Appassire è bello. In queste settimane, Corvina e Rondinella, uve principesse della Valpolicella, languono pigra mente sui graticci di legno, lasciando che tempo e natura le trasformino nei chicchi-tesoro pronti da vinificare a fine gennaio. Un percorso lungo, lento e complesso per arrivare a contendere a Barolo e Brunello il gradino più alto nella classifica dei grandi vini italiani. Dicono che l’Amarone si chiami così per opposizione e non per scelta Perché il gusto dolce esercita un’attrazione millenaria e irresistibile sui palati umani. E da sempre, le colline del veronese si arrotolano nella dolcezza del Recioto. La variante amara trova dignità di nome solo nel 1936, durante un assaggio collegiale del vino di una vecchia botte, rimasta accantonata in un angolo della Cantina sociale Valpolicella.
Quell’ambrosia vellutata e potente non merita la semplice definizione di Recioto Amaro e il battesimo viene sancito dalla lettera di accompagnamento di una spedizione divino veronese nel 1942: “Trasporto di fiaschetti di Amarone 1938”. Dolce e amaro si alternano da sempre nella storia dell’enologia veronese, dai calici amariores di Catullo ai vini ”dolci e maturi” raccontati a metà Cinquecento dallo storico veronese Torello Sarayana, su su fino allo strappo enologico di un gruppo di esperti parigini nel 1845 dopo la degustazione di un rosso austero Costa Calda invecchiato, “Supremo vino d’Italia.. preferibile a diversi Bordeauxed Hermitage”. Un riconoscimento straordinario, ma non sufficiente a far spiccare il volo alla produzione: bisognerà aspettare oltre un secolo e mezzo per arrivare a un disciplinare pienamente rispettoso divincoli e caratteristiche del super rosso veronese.
Il guaio è che negli ultimi vent’anni - un lampo, nella storia del vino - si è passati dal poco al troppo, dal non avere bottiglie sufficienti a coprire le richieste di appassionati e curiosi alla lotta per mantenere alti gli standard qualitativi, dai moti di rabbia degli “amaronisti” duri e puri, guidati da Giuseppe Quintarelli e Romano Dal Fomo, alle vinificazioni facili per conquistare le fasce più basse del mercato. Due anni fa, una dozzina di vignaioli selezionati si sono riuniti in un marchio, “Le grandi famiglie dell’Amarone”, con tanto dl manifesto programmatico in difesa dell’Amarone verace contro le produzioni low cost e ologrammi antitruffa applicati sulle bottiglie.
Del resto, basta assaggiare un bicchiere di Amarone con la A maiuscola per capire come le scorciatoie enologiche non abbiano spazio nel mondo della viticoltura d’autore. Vigoroso ma morbido, strutturato ma nitido, avvolgente come una cappa di velluto ma senza nemmeno un guizzo smodato: non c’è carne che possa resistergli, né formaggi vaccini invecchiati, salumi stagionati, selvaggina. Ma se siete amanti di pesce e crudité, pollo in gelatina e caprini freschi, non preoccupatevi: il bianco è l’abbinamento ideale. L’Amarone tenetevelo per il dopo cena, accoccolati sulla poltrona più comoda, ringraziando chi ha inventato i vini da meditazione.


Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su