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La Repubblica

Le mille luci di McInerney “Dalle feste ai grandi vini” ... L’autore di “Mille luci di New York” racconta la sua passione per i vini ... Ha raccontato feste di ogni genere ma oggi preferisce che a parlarne siano i suoi libri. “Sembra quasi che abbia fatto o faccia solo quello” spiega, anche se sa bene che le descrizioni di Manhattan ne Le mille luci di New York hanno immortalato un mito che ancora attira e fa sognare. Oggi ci sarebbe una festa speciale, il Capodanno, e Jay McInerney ha voglia di ricordare quel che gli disse, molti anni fa, Raymond Canrer, il suo punto di riferimento letterario ed umano. “Mi diede un consiglio severo: abbandona New York, e concentrati sulla scrittura. Là ci sono troppe distrazioni, troppo alcool”. Dopo molte esitazioni, McInerney seguì Carver a Syracuse, (“un luogo in cui c’è davvero poco da fare, oltre che studiare”). Così, all’inizio della sua carriera letteraria, tentò di imitare Io stile del maestro ma poi nel suo romanzo d’esordio raccontò esattamente la vita dalla quale Carver gli aveva consigliato distare alla larga: party ed eccessi di ogni tipo, nella luccicante New York dell’era reaganiana. Sono passati più di venticinque anni, e nel frattempo McInerney ha scritto altri cinque romanzi e una raccolta di racconti. Dopo aver abbandonato gli stravizi di quegli anni, ha trasformato la passione per il vino in un hobby, diventando il critico del Wall Street Journal, con due raccolte di articoli e saggi sul vino: Bacchus and me: adventures in a wine cellare A hedonist in the cellar: adventures in wine.
La sua metamorfosi la racconta così: “Scrivo divino con piacere, ma è un’attività semi- professionale. Ci metto impegno, passione, e credo, una certa competenza, ma sono cosciente del fatto che ci sono persone più esperte di me”. Chissà cosa direbbe Carver, della sua conversione. “Sarebbe stato attento alla qualità della mia scrittura. Una delle sue lezioni è l’importanza del linguaggio, e l’invito a lavorare su questo. Del resto anche per ottenere un buon vino bisogna seguire con cura ogni fase. Oggi non mi considero un intenditore divini ma ho cominciato a bere meno e meglio. Sono diventato anche un collezionista di bottiglie pregiate. Ho
un debole per i vini francesi come il Burgundy ed il Bordeaux e per quelli dell’Italia del Nord, in particolare il Barolo. Mi piace, degli ultimi dieci anni, quello prodotto nel 2001: eccellente”. E pensare che fino a poco tempo fa non tutti apprezzavano il made in Italy del bere. “Negli Usa i vini italiani non erano considerati al livello di quelli francesi:perché erano pochi e, anche, a causa di un certo provincialismo americano per cui i prodotti della Francia dovevano per forza essere superiori. Ora è diverso. Qui, d’altro canto ci sono ottimi vini, in particolare nella Napa Valley. E più passa il tempo più nascono viticultori di alta qualità”. Che lui conosce bene, da bevitore e da collezionista. “Mi piace avere bottiglie importanti ma il vero piacere è nel godere del sapore del vino. Il vino va bevuto, così come i libri vanno letti. Faccio questo esempio perché un’altra mia grande passione è collezionare le prime edizioni dei libri di Francis Scott Fitzgerald. Oltre ad alcune foto rarissime, ho tutte le sue prime edizioni, tra cui quella di Tenera è la notte, autografata per Dorothy Parker. Sono felice di possederli, ma sarebbe assurdo averli se poi non li avessi anche letti. Per quanto riguarda i vini, li colleziono nelle mie case cercando di stare attento al clima, all’esposizione alla luce, insomma a tutti i dettagli fondamentali per conservarli. E, ammetto, sono geloso delle bottiglie più pregiate, come uno Chambertin Rousseau del 1962. Anche se le bottiglie di Bordeaux e di Barolo mi danno più gioia. Come lo champagne, in particolare il rosé”. Dal vino alle bollicine, per un lungo brindisi. “La prima volta che l’ho bevuto ero molto giovane ed ero ad un concerto degli Who. L’aria era infestata dal fumo della marijuana, e ho bevuto con una ragazza uno champagne chiamato Cold Duck, che, imparai in seguito, è composto da due diversi vitigni dello stato di NewYork. Non esattamente un grande champagne, e oggi me ne tengo alla larga, tuttavia devo proprio a quell’esperienza il mio primo “approccio”. All’inizio ho voluto documentarmi, e ho imparato ad esempio che per ottenere il colore rosa i grandi viticultori utilizzano il Pinot Nero, e ho scoperto molti dettagli sul terreno, importante, non meno del clima, per la riuscita di un grande champagne. Oggi lo champagne rosé è diventato una mia passione e a volte mi diverto a seguire anche le aste delle bottiglie più pregiate: una volta ho visto vendere due bottiglie di Dom Perignon Rosé del 1959 ad 84 mila dollari”. Ha scritto di feste e bevute anche se secondo lui la scrittura è un’altra forma di ebbrezza e non ha bisogno di altra benzina per funzionare. “Amo moltissimo uno scrittore come Hunter Thompson e non dimentico quanto bevesse Scott Fitzgerald, ma nel mio caso il vino e quel tipo di bevute le lascio ad alcuni dei miei personaggi. Bevo per piacere non per scrivere. Il resto lo metto nei miei saggi e nelle mie recensioni”.

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