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La Repubblica

Vinitaly ... Vino, l’Italia nel mondo ... Dal Brasile al Giappone le etichette nazionali conquistano il mercato globale. E nonostante il caso generalizzato delle vendite il nostro paese resta il primo esportatore e produttore nei cinque continenti. Da domenica a Verona, il gotha dell’enologia riunito nella più grande fiera internazionale del settore, offre conferme e progetti ... Qualità, identità, mercato: il futuro dei vino italiano dipende dalla capacità dei produttori, da un lato, e del sistema-paese, dall’altro, di declinare al meglio queste tre parole d’ordine. Alla vigilia di Vinitaly, ormai la più grande fiera mondiale del settore, nessun dubbio che questi argomenti terranno banco tra gli addetti ai lavori. Il vigneto Italia ha archiviato un 2012 che si ricorderà soprattutto peri bassi volumi di produzione, in linea con il calo più o meno generalizzato nel mondo e in particolare nell’Unione Europea, a causa della riduzione delle superfici dei vigneti e delle condizioni climatiche avverse. E tuttavia ancora una volta l’Italia è il paese che ha prodotto di più e, quel che più conta, il valore delle esportazioni è cresciuto dcl 6,5 per cento sul 2011, mentre i volumi sono calati dell’8,8 per cento: insomma, si è venduto meno a prezzi decisamente più vantaggiosi. A ulteriore conferma, se ancora occorresse, che la via obbligata per i paesi di grande tradizione vinicola come Francia e Italia è quella di differenziare la propria produzione in chiave di qualità rispetto al “nuovi produttori”, puntando a fasce di mercato più alte. Le tendenze dei consumi per i prossimi anni sui mercati più importanti sono infatti ormai piuttosto ben delineate: crescita di Usa, Russia e Cina, rallentamento di Germania e Regno Unito, decremento costante e vistoso di Francia, Spagna e Italia. Per esempio, il consumo pro capite degli italiani è oggi intorno a 37,2 litri, contro i 42,7 del 2008. Le cause? La crisi economica ha certo colpito duramente la domanda nei ristoranti, ma a ciò si deve aggiungere il deterrente delle norme anti-alcol e il fatto che più in generale gli italiani a tavola bevono meno per ragioni legate a salute e diete, mentre il calo non è compensato dal maggiori consumi al bar sotto forma di aperitivi. Non diversa, anzi peggiore, la situazione in Francia: nel 1965 i francesi bevevano in media 160 litri di vini all’anno, scesi a 58 nel
2002 e a meno di 50 oggi. Esportare è quindi l’imperativo. Ma quali vini, & qove? Vini di qualità più alta, vini “diversi”, dei quali bisogna far comprendere, al di là delle grandi etichette classiche, l’identità e l’ originalità che ricercano i consumatori sempre più evoluti e disposti a spendere. Non più i vini internazionali verso i quali è orientata la produzione dei paesi “nuovi produttori” (che ormai neppure tanto nuovi sono più) come Cile, Argentina, Australia, Nuova Zelanda, SudAfrica... Più vini premium, meno sfusi e cheap. Da promuovere e vendere attraverso moderne e sofisticate politiche commerciali che sappiano leggere e interpretare la domanda dei diversi mercati e delle diverse fasce di consumatori, e quindi si attrezzino con adeguate strutture di distribuzione per intercettarli e raggiungerli. Alcune tendenze si sono già palesate con una certa chiarezza. Per esempio, anche se il Regno Unito è destinato a confermarsi il maggior importatore divino del mondo, il consumatore inglese pare sempre più orientato a privilegiare i vini dei nuovi produttori e a ridurre la spesa media per bottiglia; mentre negli USA continuano a preferirsi i vini europei. Pur in presenza di consumi pro capite ancora lontanissimi da quelli europei, sono la Cina, l’India, il Brasile e soprattutto la Russia i paesi verso i quali si concentrano le attenzioni e gli sforzi delle aziende maggiori. La Cina, si sa, è uno dei mercati più promettenti ma anche più difficili del mondo: la stragrande maggioranza dei cinesi ignora l’esistenza del vino, eppure il vino da qualche anno è diventato uno status symbol per i nuovi ricchi, che spendono fortune per accaparrarsi le più blasonate etichette bordolesi e borgognone. Diverso è il caso della Russia, dove il consumatore di vini di qualità appartiene a un target medio-alto e cosmopolita, abituato a viaggiare, che apprezza e ricerca i simboli dello stile di vita italiano, comprese le etichette più prestigiose. In Brasile, invece, l’interesse sta crescendo lentamente ma con costanza ed erode quote sia pur marginali alla birra e alla cachaça fra i più abbienti e nella nuova classe media, senza toccare ancora la massa della popolazione. L’India, infine, si è da poco aperta al vino, con consumi di fatto limitati ai ristoranti e agli alberghi di lusso e quindi riservati a una classe economica molto alta, peraltro favorevolmente condizionata dalla tradizione coloniale inglese. La strada è segnata, insomma. Ma il cammino è lungo e la competizione aspra, agguerriti i concorrenti. Una sola certezza: la qualità media e i prezzi del vino italiano stanno crescendo. Anche se non è affatto detto che ciò sia sufficiente per vincere.

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