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La Repubblica

Vino Santo Trentino ... Storia di un nettare speciale: si produce solo nella Valle dei Laghi ed è stato salvato dall’estinzione Resiste ben cinquant’anni... Nella Valle dei Laghi trentina, percorsa dall’antica strada romana che collegava l’Adige con il Garda, c’è una piccolissima eccellenza italiana, ben custodita e testardamente salvata dall’estinzione. E un vino, che potremmo definire il “passito dei passiti”, perché nessun altro usa uve che rimangono in appassimento naturale così a lungo come il Vino Santo trentino. Siamo in una zona che ha un clima atipicamente mite, favorito dalla vicinanza con il Garda. I territorio è puntellato da altri piccoli laghi di origine glaciale, va da Cavedine a Vezzano, passando per i comuni di Lasino, Calavino e Padergnone. Qui si coltiva ancora la nosiola, varietà autoctona di vite che copre soltanto più 1’1,5 per cento dell’intera produzione enologica trentina, ma che nella valle ha da sempre un territorio d’elezione. Sono 1l0 ettari in tutto, di cui solo 10 ritenuti idonei alla produzione di Vino Santo, stando ai criteri di selezione degli ultimi cinque produttori rimasti. Oggi è dunque una microproduzione, che però ai tempi della dominazione austriaca era molto apprezzata, rigogliosa ed esportata sui mercati germanici. Dopo la prima guerra mondiale l’influenza di Vienna venne meno e pian piano il Vino Santo passò di moda, sempre più soppiantato da produzioni ritenute moderne e meno impegnative. La situazione attuale è stata aggravata dalla diffusa tendenza a impiantare vitigni internazionali come chardonnay e pinot al posto della nosiola, con la conseguenza che il Vino Santo ha oggi bisogno di un Presidio Slow Food (sono rarissimi quelli dei vini, solo tre in Italia su 224) perché non diventi solo un prodotto della memoria. Per produrlo si usano grappoli spargoli, con pochi acini radi, provenienti da vecchi vigneti in appezzamenti che per le loro caratteristiche poi consentiranno all’uva il lunghissimo appassimento. Si fa una raccolta tardiva e i grappoli sono stesi su graticci denominati arele, messi in soffitte. L’areazione dei locali consente all’uva di essere toccata dall’ora del Garda, il celebre vento del lago. I grappoli restano così per cinque o sei mesi, fino alla Settimana Santa (che dà il nome alvino) e intanto perdono l’80 per cento del volume, cosicché da 100 chili di uva si otterranno al massimo l8 litri di mosto. In botti piccole di rovere inizia una fermentazione naturale per sei o otto anni. Una volta imbottigliato, il vino resiste fino a cinquant’anni, evolvendo le sue caratteristiche organolettiche. Un tempo era considerato un vino medicinale, forse per centellinarne il consumo. I cinque produttori del Presidio oggi continuano a utilizzare le antiche tecniche e si sono impegnati in una coltivazione della vite secondo i principi dell’agricoltura biologica o biodinamica. Per completare la gita da quelle parti, dove procurarsi questo nettare, c’è anche una buona osteria in zona, nel comune di Calavino. In frazione Lagolo siamo sul fronte occidentale del monte Bondone, dove c’è un piccolissimo lago in cui si specchiano le Dolomiti di Brenta. L’osteria è annessa all’hotel Suite Piccolo Principe e si chiama Stube Maria. L’ambiente è raffinato ma la cucina di Stefano Florianiè più che tradizionale con prezzi intorno ai 30-35 euro vini esclusi: carne salada, cervo in umido con polenta, strangolapreti, ravioli caserecci al formaggio con ragù d’anatra. Ci sono anche un menù vegetariano stagionale e una carta dei vini ben fornita, con grande attenzione ai prodotti locali e ai vitigni autoctoni.

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