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La Repubblica

L’Italia dei mille vini ... Per decenni hanno dominato le etichette “international style”, ma oggi le uve autoctone conquistano i consumatori, Vitigni antichi, caratteristici di determinate zone, che accanto al biologico sono protagonisti del salone, da domenica a Verona ... Nella sua storia millenaria il vino ha spesso affiancato il corso della civiltà. Così la coltivazione della vite, dai territori transcaucasici, passando per il Medio Oriente e l’Egitto, si è spostata nel corso dei secoli verso ovest, trovando una sorta di base di raccolta in Grecia. Da qui si è poi diffusa in tutta l’area mediterranea dove si è incrociata con altre varietà selvatiche e domestiche, creando così le basi genetiche per i vitigni che oggi conosciamo. Ma l’interesse concreto per l’uva locale è sbocciato in Italia solo in questo secolo, dopo che, per un paio di decenni, era stata inseguita la novità dei vini in barrique, dei Merlot, degli Chardonnay, del rassicurante e collaudato international style. Un cambio di rotta non provocato, almeno nella maggioranza dei casi, da un ritorno di patriottismo viticolo, ma dalla constatazione, molto più pratica, che il mercato iniziava a reclamare prodotti sempre meno omologati. La voglia di riscoprire, e quindi valorizzare, le uve autoctone, ha contagiato un po’ tutti, produttori e consumatori, e pur provocando un fermento positivo ed encomiabile, ha talvolta troppo enfatizzato l’importanza della singola uva rispetto alla valenza del territorio. Non va infatti dimenticato che senza la componente territoriale, di cui l’Italia abbonda per eccellenza, molti vitigni avrebbero avuto una storia assai meno gloriosa. La 48° edizione di Vinitaly (a Verona dal 6 aprile) può rappresentare per i tanti appassionati l’occasione giusta per approfondire il tema, con la possibilità di assaggiare vini ottenuti con vitigni autoctoni. In attesa di andare (o per chi non potesse), ecco un percorso guidato fra quelle varietà che negli ultimissimi anni hanno segnato una crescita qualitativa sorprendente e hanno mostrato, nella loro naturale diversità, un registro stilistico comune, una bevibilità, una freschezza e un’originalità aromatica che piace sempre di più. Tralasciando il consueto repertorio dei vitigni che hanno fatto la storia del vino italiano, si può iniziare questa rapida rassegna con il Rossese, uva rossa diffusa principalmente lungo le impervie colline della V al Nervia e della Valle Crosia, nella riviera ligure di Ponente. Coltivata prevalentemente con sistema di “allevamento ad alberello”, dà origine a vini freschi, fini e profumati, che stanno guadagnando sempre maggiore considerazione da parte dei consumatori più attenti. Restando sul fronte delle uve rosse, merita la citazione l’intrigante Schioppettino, vitigno presente nella denominazione dei Colli Orientali del Friuli, caratterizzato anche dalla recente sottozona di Prepotto. Produce vini dal gusto dinamico, facilmente riconoscibili per il carattere speziato dei loro profumi. Non meno avvincente è l’impatto con il Piedirosso, detto anche Per’e Palummo, antico vitigno diffuso nei terreni vulcanici dell’area napoletana, dove è componente fondamentale delle Doc Lacryma Cristi e Campi Flegrei presente anche a Capri, Ischia, nel Sannio e nel Casertano. Ampiamente rivalutato negli ultimi anni, dà vita, nelle migliori versioni, a vini di ammirevole purezza fruttata e dal gusto elegante, succoso e molto sapido. Ma anche le uve bianche non sono da meno. A partire dalla Vespaiola, varietà dominante dei vini di Breganze, che conferisce piacevoli profumi di agrumi. In grande espansione in Abruzzo e nel Piceno è il Pecorino, dotato di un’importante struttura acida e di profumi che variano dalle note di camomilla ai fiori di lavanda. La spiccata acidità e i profumi di stampo minerale costituiscono infine i dati salienti anche dei vini a base di Carricante, uva bianca tradizionalmente coltivata sulle pendici dell’Etna: un luogo di straordinaria vocazione viticola, giusto per ricordare che i buoni vini nascono dalla magica fusione tra uva e territorio.

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