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La Repubblica

Interno giorno: un’enoteca qualunque, in una città qualunque. Allineate sugli scaffali centinaia, migliaia di
bottiglie. Nomi, etichette, prezzi, la segnalazione di qualche premio, qualche cartello di offerte speciali. Ma c’è anche qualcosa che non si vede a occhio nudo, e che spesso sfugge al cliente svogliato e non particolarmente appassionato: dietro ognuna di quelle bottiglie c’è una storia, ci sono persone, tradizioni, tentativi. Storie
volte di sudore e passione, altre volte di solida programmazione industriale. Ma comunque storie, voci che bisogna ascoltare se si vuole veramente comprendere un vino. A maggior ragione quando le storie che una bottiglia ci racconta non sono normali vicende agricole, ma straordinari racconti, unici, per i più svariati motivi. A questi racconti, e ai vini che li rappresentano, si è dedicato per esempio Pierrick Bourgault per scrivere il suo libro “Vini Insoliti” (pubblicato in Italia da Jonglez). 11 suo è un affascinante giro del mondo tra vigneti e cantine che hanno fatto dell’eccezione la regola e dell’inconsueto la norma. Vini prodotti in climi impossibili o su pendenze disumane. Bottiglie che lanciano messaggi politici o che invecchiano ascoltando la musica. Che riposano negli abissi o sfidano la guerra. Sono tante, ed emozionanti, le storie che vale la pena di ascoltare.
È sorprendente, per esempio, scoprire fra tra gli scavi archeologici di Pompei una vigna di un ettaro e mezzo di Piedirosso e Aglianico, piantata dal produttore Mastroberardino nel punto in cui si trovavano i vigneti descritti da Plinio prima dell’eruzione del Vesuvio. Oche, in un fazzoletto di terra su un isolotto nella laguna di Venezia l’ex dirigente televisivo francese Michel Thoulouze riesce a produrre 10mila bottiglie di malvasia, che imbottiglia su un camion trasportato da un battello.
A proposito di Francia, se ci spostiamo a Sarragaghies, nella regione di Tolosa, ecco l’unico vino prodotto da piante protette come monumento nazionale: una vigna che secondo i ricercatori risale al 1820. Un vigneto che è un monumento, ma all’integrazione tra i popoli, lo troviamo invece in Friuli Venezia Giulia: qui, dal 1983, i 200 soci della cooperativa Cormons vendemmiano i tre ettari di una vigna-museo dove sono stati impiantati 600 vitigni diversi provenienti da tutto il mondo. Una vigna “interraziale” che dà luogo ad un prodotto unico, il “Vino della Pace che “riunisce tutti i sentori della Terra in un unico bicchiere”. E le bottiglie, ogni anno decorate da un grande artista diverso, vengono donate ai capi di Stato cli tutto il mondo. Da un record all’altro: nella Tenuta Borboni, nei pressi di Aversa, le viti di Asprinio vengono lasciate crescere in altezza fino a 15 metri, libere di arrampicarsi sui pioppi. Il risultato è una vendemmia spettacolare, con i braccianti che si arrampicano agili su lunghe scale di legno. Dall’altro lato della penisola, in Puglia, il viticoltore Nicola Chiaromonte, con il suo su- per Primitivo, vuole infrangere un altro muro, quello del vino con la maggior gradazione alcolica: è arrivato alla mirabolante cifra di 19,5 gradi. Ma, incontentabile, punta ad ottenerne uno da 20 gradi.
Ben altri problemi nel Kurdistan iracheno. Qui, in questa zona di guerra e terrorismo, i viticoltori sono costretti alla clandestinità, i vitigni e le uve sono venduti al mercato nero, le bottiglie nascoste con cura. Per farlo si rischia il carcere, a volte la vita. Ne vale la pena? Per questi uomini, cittadini di quella Mesopotamia che la viticoltura l’ha vista nascere nella notte dei tempi, evidentemente sì. Ed è forse la prova più schiacciante della verità dì quanto dice Pierrick Bourgault: “Il vino è umano. Ha una voce, un volto; è un territorio, un desiderio...”.

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