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La Repubblica

Vendemmia felix ... “015, la grande annata ... Una sera sorgeva la luna, sul ciglio
della collina. Gli alberelli lontani erano neri; la luna, enorme, matura. Ci fermammo. Io dissi: ‘Tutti gli anni, a settembre, la luna è sempre la stessa, eppure mai che me ne ricordi. Tu lo sapevi ch’era gialla?’. L’amico guardò la luna, e ci pensava. Mi pareva davvero di non averla mai vista così, ma insieme di averne in bocca il sapore, di salutare in lei qualcosa di antico, d’infantile, tanto che dissi: “È una luna da vigna. Da bambino credevo che i grappoli d’uva li faccia e li maturi la luna”. “Non so”, disse l’amico, “per me è sempre la stessa”. Ora il brivido mi aveva lasciato e la luna col suo sapore di vendemmia ci guardava entrambi come una creatura che conoscevo e ritrovavo”. Nessuno come Cesare Pavese - il brano è tratto dal suo Feria d’agosto - sa
trasmettere il respiro misterioso e intrigante della campagna nel tempo della vendemmia, quando le vigne regalano agli uomini i loro frutti migliori, protetti con le foglie dalle asperità del clima, troppa acqua o troppo sole, maturati succhiando il buono della terra, offerti un attimo prima di addormentarsi nel lungo sonno invernale.
Ogni anno, il dio delle viti estrae dal cilindro una vendemmia diversa, figlia dell’andamento delle stagioni e della cura della terra. Il 2015 sarà ricordato per la sua meravigliosa qualità, distribuita come una pioggia fine e benevola da una parte all’altra d’Italia. Niente regioni privilegiate o neglette, vignaioli felici o angosciati, botti trionfanti e altre men che mediocri, da aggiustare in qualche modo. Fra pochi mesi, basterà puntare il dito sulla carta geografica per trovarci sotto le impronte di vini buoni e sani.
Grazie a tradizione e cultura, le grandi regioni del vino - Piemonte e Toscana in primis
- hanno sempre trovato mezzi adeguati per sopravvivere ad annate senza gloria, lasciando alle aree meno celebrate il ruolo di Cenerentole del bicchiere. In caso di vendemmia non all’altezza, appartenere a questa o quella regione era considerato comunque garanzia di buona bevibilità. Ma piccoli produttori per fortuna crescono e un numero sempre maggiore sceglie di camminare sulle proprie gambe, senza ripararsi dietro i grandi nomi dell’enologia.
Così, anno dopo anno Valle d’Aosta e Calabria, Liguria e Molise hanno scalato i gradini che portano al paradiso di Bacco, abbracciando il percorso di un’agricoltura rispettosa della salute della terra e di chi il vino lo beve, recuperando saperi antichi e sposandoli a quelli nuovi, fra trappole ormonali e fertilizzazioni col corno-letame, potature verdi e raccolta manuale, pressature dolci e lunghe macerazioni. Vigne che resistono secondo natura agli attacchi dei parassiti, con i tralci potati destinati al compost (letame), al contrario di quanto si sussurra a proposito di molte vigne seriali, i cui scarti vengono smaltiti come rifiuti speciali a causa dell’abuso di pesticidi. Vini fortemente connotati, figli del proprio territorio, capaci di evolversi sentendo gli umori del tempo, mai banali.
Sorseggiate un Aglianico del Vulture dell’azienda biologica Camerlengo (Basilicata) seduti in cima a un poggio, con una scheggia di pecorino di fossa in punta di dita. Scoprirete il lato
migliore dell’autunno.

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