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La Repubblica

Il vino italiano insegue il primato ... Trent’anni fa, era il marzo del 1986, il dramma del metanolo: azzerata, con 18 morti avvelenati, l’immagine del vino italiano. Cinquant’anni fa, 1966, la prima edizione, in embrione, di Vinitaly, destinato a diventare la più grande fiera mondiale del settore. La vigilia di quest’edizione-monstre del cinquantenario - che si svolgerà a Verona dal 10 al 13 aprile e che prevede di battere ogni record precedente per numero di espositori e visitatori - è l’occasione per fare il punto sullo stato di salute del vino italiano e sulle sfide che lo attendono con Riccardo Cotarella, presidente degli enologi italiani. Fotografato dai dati freschi dell’Unione Italiana Vini, il momento pare decisamente felice, soprattutto sui mercati internazionali: nel 2015 l’export è cresciuto del 5,4 per cento rispetto al 2014, superando per la prima volta i 5 miliardi di euro, anche se il volume complessivo dei vini esportati è lievemente calato (meno 1,8 per cento). “L’elemento positivo sta nel fatto che cresce il fatturato mentre calano di poco i volumi, il che significa che vengono apprezzati e acquistati vini di miglior qualità e di prezzo superiore. Crescono i vini in bottiglia e diminuisce lo sfuso”, dice Cotarella. “L’esempio viene dalla Francia, ai cui vini è mediamente riconosciuto un prezzo ben più alto rispetto ai nostri. Meno quantità e maggiore qualità, insomma”. Un dato per tutti, seppur parziale e limitato a un segmento della produzione e del mercato, dà l’idea di quale sia il gap che occorre limare: negli Stati Uniti il prezzo medio al litro di uno spumante italiano ( Prosecco, Asti, vari “metodo classico”) è arrivato a 3,9 dollari, quello dei francesi a 18,6 dollari. “Il principale mercato di sbocco si è confermato quello nordamericano, in crescita a doppia cifra; seguono la Germania, in lievissimo calo ma fondamentale; il Regno Unito, in importante crescita; poi la Svizzera, il Canada, il Giappone...”, osserva Cotarella. Con quali preferenze riguardo all’origine dei vini? “È netta la propensione per i vitigni autoctoni nostrani, innanzitutto Sangiovese e Nebbiolo; ma crescono l’attenzione e la domanda per Montepulciano d’Abruzzo, Primitivo, Negramaro fra i rossi; e per Pinot Grigio, Grillo, Fiano, Greco e Falanghina fra i bianchi”. Quali allora le prospettive? “Il 2016 dovrebbe veder confermata la tendenza alla crescita, sia dell’export sia dei prezzi medi. E vedo bene anche il 2017, quando cominceranno ad arrivare sul mercato i primi rossi del 2015, vendemmia eccellente pressoché per tutto il vigneto Italia”. C’è tuttavia un dato di fondo del quale si deve tener conto, ed è il calo costante, anno dopo anno, del consumo pro capite degli italiani, arrivato oggi a meno di 40 litri: “Le nuove generazioni bevono sempre meno vino. Per motivi di prezzo, certo, ma anche per la concorrenza sempre più forte delle bevande alternative, birre, “breezer”, bevande gasate... In compenso, chi beve il vino lo fa con cognizione di causa, è più informato, sceglie strade diverse puntando a vini con minor gradazione alcolica, di maggior bevibilità”, aggiunge Cotarella. “Ma sono soprattutto cambiate le modalità di consumo e di acquisto. Sempre più si beve senza accompagnare il vino al cibo, o facendolo abbastanza casualmente. I wine bar e gli happy hour sostituiscono i ristoranti e le trattorie, il consumo avviene sempre meno in casa”. Quanto e come incide sulle tendenze di consumo la deriva sempre più diffusa all’etico, al vegano, al biodinamico? “È indiscutibile la crescita di interesse per la declinazione anche sul terreno del vino dei principi di sostenibilità, di rispetto della natura. Bisogna però dire con franchezza che si sta generando parecchia confusione, anche e soprattutto fra i consumatori: abbiamo vini e produttori che si definiscono biologici, biodinamici, convenzionali, indipendenti, vegani, liberi, anarchici, “orange”, “del contadino”... Al di là delle crociate ideologiche, io sono convinto che tutti, oggi, enologi e produttori in testa, si sentano impegnati a produrre uve e vini che siano il frutto di un approccio rispettoso della natura, in vigna e poi in cantina. Detto questo”, conclude Cotarella, “non mi pare che sul mercato si riscontri un successo di consumo dei vini cosiddetti “naturali” pari al gran parlare che se ne fa”.

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