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La Repubblica

Coldiretti: “L’accordo Ceta mina per l’occupazione. Colpito l’agroalimentare” … L’intervista/Il presidente Moncalvo: si favorisce la contraffazione... Un trattato che “legalizza la pirateria alimentare” e favorisce l’ingresso nei nostri mercati di “prodotti trattati con sostanze fitosanitarie che da tempo il nostro ordinamento ha vietato perché considerate dannose per la nostra salute”. La scorsa settimana Coldiretti ha manifestato davanti a Montecitorio per chiedere al Parlamento di non ratificare il Ceta, l’accordo di libero scambio Ue - Canada. Con gli agricoltori sono scesi in piazza anche Cgil, Legambiente, Slow Food e molte organizzazioni dei consumatori. Il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo spiega le ragioni della protesta.
Non pensate che un accordo internazionale richieda qualche compromesso?

“Di fatto noi avremo 250 denominazioni di origine garantita che non verranno tutelate. E anche le 41 fortunate in realtà avranno solo una tutela parziale. Con il Ceta accettiamo che l’asiago o la fontina o il parmesan possano essere usati come nomi comumi per formaggi che entreranno in competizione con i nostri. Avalliamo ufficialmente ciò che fino ad oggi abbiamo bollato come falso made in Italy”.

Non possiamo impedire agli altri Paesi di produrre formaggi simili ai nostri, e di metterli in commercio.

“Sì ma così passiamo dalla loro parte, creando un precedente importante per gli altri trattati, il prossimo potrebbe essere quello con il Giappone”.

Cos’altro contestate?

“Nell’accordo Ceta non c’è alcun riferimento al principio di precauzione che è fondamentale. E c’è il principio di equivalenza di misure sanitarie e fitosanitarie tra noi e il Canada: vengono considerati equivalenti due modelli completamente distanti. In Canada sono consentiti un centinaio di prodotti chimici e fitosanitari che sono stati banditi da 20 o 30 anni in Italia e anche in Europa, perché considerati pericolosi per la salute. E c’è anche la questione del grano duro: vengono aboliti i dazi doganali, e quindi verremo invasi dal prodotto canadese. Una forma di concorrenza sleale dal momento che il loro grano costa meno, perché viene trattato con il glifosato, un diserbante che rimane nel cibo”.

Ma per voi cosa si sarebbe dovuto fare? Obbligare gli agricoltori canadesi ad adottare le nostre norme di produzione? Mantenere i dazi?

“Noi non siamo contrari al fatto che ci sia libera circolazione delle merci, ma deve essere figlia delle stesse regole di produzione. Altrimenti non è possibile considerare quei due prodotti uguali”

Le altre organizzazioni agricole non la pensano come voi.

“Io rispondo a 1.600.000 agricoltori, il 60% dell’agricoltura italiana, che ci stanno chiedendo di rivedere la modalità con cui si definiscono gli accordi internazionali. Non si può utilizzare l’agricoltura come mezzo di scambio per favorire altri settori”.

Non crede che sia utopistico pensare di imporre agli altri le nostre norme di produzione, anche se sono le migliori?

“Io penso che 20 anni di globalizzazione centrata solo sul basso prezzo dei prodotti, sia che si parli di cibo che di qualunque altro settore, ci hanno portato a grandi perdite di posti di lavoro, e all’ingresso di prodotti di bassissima qualità nel nostro Paese. Così inoltre si favoriscono tutte le forme di sfruttamento del lavoro e dell’ambiente, soprattutto nei Paesi più poveri. La libera circolazione delle merci fondata solo sul basso prezzo ha favorito la concorrenza sleale: non possiamo permettere che la nostra agricoltura faccia la stessa fine. L’Italia dia un messaggio forte all’Europa, imponga le nostre regole”.

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