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La Repubblica

Moratti, il petroliere silenzioso dell’ultima dinasty di Milano ... Gian Marco si è sempre occupato dell’azienda di famiglia lasciando i riflettori al fratello Massimo e alla moglie Letizia. È stato il principale sostenitore di Muccioli... Dal petrolio al vino. Dall’Inter a San Patrignano. Con un unico mantra: evitare le luci della ribalta. Gian Marco Moratti, scomparso ieri a 81 anni, ha fatto tesoro degli insegnamenti di papà Angelo, fondatore della Saras e storico presidente dell’Inter. Poche regole ma chiare, nello stile tutto sostanza e poca forma - di una delle ultime dinastie imprenditoriali milanesi: “Era il 4 marzo 1955, il mio primo giorno di lavoro - ha ricordato lo stesso Gian Marco - . Lui mi disse: se sei conosciuto e hai successo ti fanno fuori. Ho cercato di far parlare di me il meno possibile. E ho vissuto bene”. I riflettori, in effetti, li ha lasciati agli altri. Al fratello Massimo, che dal padre ha ereditato la passione (e la presidenza) dell’Inter, quelli delle trasmissioni sportive. Alla moglie Letizia - presidente Rai, ministro della pubblica istruzione e sindaca di Milano - quelli della politica. Lui è rimasto dietro le quinte. A fare, molto semplicemente, il petroliere. Ha raccolto il testimone di papà, ha portato la Saras in Borsa, ha pilotato la diversificazione nelle energie rinnovabili, blindando il controllo della “più grande raffineria del Mediterraneo” -come ripeteva con orgoglio - in una cassaforte di famiglia assieme a Massimo. Che ora, assieme ai suoi figli e ai quattro di Gian Marco, gestirà il passaggio generazionale. Di lui, come voleva, si è parlato pochissimo. I fotografi hanno “paparazzato” il bacio caldo e affettuoso a Letizia con cui ha festeggiato nel 2008 la conquista dell’Expo per Milano. Giulio Tremonti, allora ministro delle Finanze, gli ha regalato cinque minuti (ovviamente indesiderati) di fama, quando ha tirato le orecchie alla sindaca, rea di battere cassa con troppa insistenza a Roma: “Letizia, ricordati che il governo non è tuo marito”. Il “first sciur”, come scherzavano nei palazzi capitolini, che aveva finanziato con generosità la sua campagna per Palazzo Marino. Il vero Gian Marco, quello più nascosto, lo si scopre così dove meno lo si aspetta. A San Patrignano, ad esempio, dove lui e la moglie, senza fanfare, hanno passato buona parte del tempo libero e speso molti dei risparmi (buona parte dei 225 milioni di donazioni ricevuti dal 2004 dalla Fondazione li hanno messi loro). A raccontare chi era il numero uno della Saras, ci sono i tanti finesettimana in roulotte a organizzare la vita della comunità. Ma soprattutto le parole con cui ha raccontato (come testimone in tribunale, non certo di sua volontà, ça va sans dire) i drammatici giorni dell’arresto di Vincenzo Muccioli quando - a inizio anni ’90 - ha mollato l’azienda di famiglia per correre a San Patrignano a cercare di salvare il salvabile. “Il clima era tragico, avrebbe potuto succedere di tutto. Io e qualche amico cercammo di tener assieme la situazione - recitano i sui verbali -. Non sono un esperto, ma in quel momento con i 60 ragazzi della comunità senza guida provai a utilizzare la mia esperienza di padre di famiglia. Avrei dovuto rimanerci un paio di giorni, ne rimasi trentasei”. Missione compiuta. Ha dovuto incassare le amarezze del tormentato divorzio da Andrea, il figlio di Vincenzo (“i ricconi mi ricattano”, accusò lui) uno dei momenti più difficili assieme alle morti sul lavoro alla Saras. Ma oggi San Patrignano è quasi in grado di autofinanziarsi grazie al lavoro dei Moratti. L’altro Gian Marco, quello capace anche ogni tanto di rilasciare interviste, è l’appassionato di vino. “Ho iniziato ad amarlo trent’anni fa”, ha confessato, durante le scampagnate enogastronomiche con gli amici Cochi e Renato (cui ha venduto a rate una Rolls Royce) ed Enzo Jannacci. La passione è diventato un mestiere al Castello di Cicognola, la tenuta di famiglia nell’Oltrepò pavese. Ventotto ettari di vite, 150mila bottiglie prodotte l’anno. Le ultime, un nebbiolo affinato cinque anni, battezzato “per papà”, in onore del babbo Angelo. “Era un concentrato di buon senso - ha spiegato lui - non si avventurava in speculazione”. La lezione l’ha imparata anche lui.

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