Fu per secoli il vino amato e ricercato in tutte le corti italiane ed europee, da re e personaggi illustri. Nobile ed elegante, non mancava mai nei menù dei Savoia, accanto al Barolo o allo Champagne. È il Grignolino come grande vino piemontese da invecchiamento. Ha una storia antica e dimenticata, ma un gruppo di vignaioli tra Asti e Alessandria, torna a crederci. Nel castello di Ponzano Monferrato, hanno presentato la rinascita del Grignolino invecchiato: si chiama Monferace ed è un progetto ambizioso.
“Abbiamo scelto il nome Monferace perché è l’antico nome del Monferrato aleramico e significava “colline generose - spiega Giulio Carlo Alleva, presidente dell’Associazione di produttori - non è solo un vino ma un progetto di territorio che parte da dieci aziende. Due aspetti ci accomunano: pazienza e serietà. Vogliamo dimostrare che il Grignolino è un vino che può dare grandi risultati. Occorre aspettare lunghi anni prima che questo vitigno si esprima al meglio. Abbiamo creato un disciplinare di produzione. Chi vuole produrre questo Grignolino deve attenersi alle regole stabilite”.
I primi esperimenti li fece un enologo molto monferrino, Mario Ronco, nei primi Anni 2000, oggi capofila dei Monferace. Su quella via nel 2012, sostenuti da Slow Food, alcuni produttori di Casale Monferrato presentarono il Manifesto del Grignolino Storico e un disciplinare che individuava i vigneti più vocati. Negli anni i contorni del progetto sono andati definendosi. Sono arrivati investitori da fuori e la scommessa è diventata più ambiziosa. Nasce così il Monferace.
“È prodotto da uve Grignolino al 100% - spiega Ronco - e affina per almeno 40 mesi, di cui 24 in botte di legno. È un’uva con tannini spiccati che evolvono e si ingentiliscono negli anni. La prima vendemmia è il 2015. Ci siamo imposti un albo vigneti per andare a individuare i cru: devono essere in collina, impiantati su terreni calcarei-limo-argillosi con esposizione idonea ad assicurare la migliore maturazione delle uve e il numero di ceppi per ettaro non può essere inferiore a 4.000. La resa massima di uva non dovrà essere superiore alle 70 quintali per ettaro. Stiamo portando avanti anche un progetto di mappatura dei cru”. Ad oggi si parla ancora di piccoli numeri: attorno alle 15.000 bottiglie, “ma cresceremo” promettono i produttori.
Giusy Mainardi, storica, ripercorre la storia di questo vitigno: il primo documento scritto in cui si cita il Grignolino, come Berbexinius, è un atto d’affitto datato 1249, trascritto dai monaci del Capitolo di Sant’Evasio di Casale Monferrato. Nel 1337 nell’inventario dei vini dell’Abbazia di San Giusto di Susa si citava la presenza di vino “Grignolerii”. La prima citazione in un libro ampelografico è del 1798, nell’“Istruzione” del conte Nuvolone che lo chiamò “Nebieul rosé”. Nel 1800 Giorgio Gallesio lo cita nella Pomona Italiana. Arriviamo poi a Mario Soldati e a Veronelli che lo ribattezzò “l’anarchico testabalorda”. Il nome deriverebbe dai suoi tannini spiccati. Secondo alcuni, deriverebbe da “grignole”, termine dialettale astigiano (e fracese) che indicava anticamente i vinaccioli, che in questa varietà sono più numerosi rispetto ad altri vitigni e sono responsabili della sua marcata tannicità. Per altri sarebbe legato all’espressione “grigné”, in piemontese sorridere, perché a un sorriso assomiglierebbe l’espressione che, causa tannini, si disegna sul volto di chi lo beve.
I Monferace iniziano a stringere le loro alleanze: così lo chef pluristellato Enrico Bartolini, che dirige anche le cucine del Relais Sant’Uffizio a Cioccaro di Penago, ha curato il pranzo della “prima”, e la Master of Wine Robin Kick ha guidato la degustazione dei primi Monferace 2015 che verranno immessi sul mercato. Queste le aziende che lo producono: Tenuta Santa Caterina, Castello d’Uviglie, Accornero, Tenuta San Sebastiano-Dealessi, Tenuta La Tenaglia, Vicara, Alemat, La Fiammenga, Sulin, Fratelli Natta e Angelini Paolo.
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