La scuola, tempio dell’insegnamento, ha un ruolo “naturale” nell’educazione ad uno stile di vita sostenibile, che passa anche per le pratiche quotidiane. In questo senso, la scuole possono scegliere di avere relazioni dirette con gli agricoltori o gli allevatori, ad un prezzo giusto, che rifletta ciò sia il valore economico del lavoro che quello simbolico, che siamo pronti a riconoscere ai produttori. Si chiama school-supported agriculture, cioè agricoltura sostenuta dalla scuola, ha un potere dirompente e non è impossibile da applicare. Come spiega Alice Waters, vicepresidente di Slow Food, cuoca, saggista e ispiratrice e consulente di Michelle Obama nella sua rivoluzione agroalimentare (di cui l'orto alla Casa Bianca è il più chiaro dei simboli), nel Food Talk di Terra Madre Salone del Gusto “Cambiare il sistema alimentare, partendo dalla scuola”, se le stesse somme di denaro che le scuole spendono in fast-food andassero a sostegno di un’agricoltura buona, pulita e giusta, metteremmo in campo una vera e propria rivoluzione. Quella “rivoluzione deliziosa” tanto cara alla Waters, che nel 1996 ha creato il progetto “Edible Schoolyard”, che in oltre 20 anni ha contribuito a diffondere l’urban gardening e il valore di una cultura alimentare più sana e a chilometro zero nelle giovani generazioni. In centinaia di progetti che hanno arricchito le scuole di tutti gli Stati Uniti, in cui l’orto e la cucina, inizio e fine del tutto, sono spesso la “scusa” per insegnare chimica, biologia e storia.
“Il progetto di agricoltura supportata dalla scuola non è così diverso da quello dell’agricoltura supportata dalle comunità locali. La scuola, infatti, decide di avere una relazione con l’agricoltore o l’allevatore, impegnandosi ad acquistarne i prodotti sempre, ad un buon prezzo, non il prezzo dell’ingrosso, ma al prezzo che realmente costa la produzione di quel cibo, l’allevamento di quegli animali, e soprattutto un prezzo che rifletta la considerazione per i produttori e per il loro lavoro. All’inizio - ricorda Alice Waters - ero alla ricerca del gusto, dei sapori, e mi sono ritrovata a bussare ad allevatori locali, agricoltori biologici e pescatori che fanno pesca sostenibile, e con loro abbiamo costruito una relazione, sono diventata una cliente su cui poter contare per l’acquisto di tutti i loro prodotti stagionali, e alla fine abbiamo conosciuto un produttore che grazie all’agricoltura rigenerativa contribuiva all’assorbimento del carbonio nel suolo e alla riduzione di CO2 nell’atmosfera, fornendo così una risposta al cambiamento climatico. Ci ha insegnato così tanto sulla produzione del cibo e la salute del suolo (è da lì che viene tutto il nutrimento), e certamente è questo che vogliamo per i nostri studenti, è questo che vogliamo per tutti noi”.
Alla fine dei conti, si tratta di scegliere, prima di tutto dove allocare le risorse economiche, come spiega ancora la vicepresidente di Slow Food International. “Oggi le scuole sono fra i maggiori acquirenti dai fast-food, ma cosa accadrebbe se le stesse somme di denaro investite nelle scuole andassero a sostegno di Slow Food? Parliamo davvero di un numero altissimo di persone e cifre enormi di denaro, considerando non solo le classi dall’asilo al liceo, ma anche le Università. Insomma, parliamo di un enorme potere d’acquisto. Abbiamo questa possibilità, soprattutto a livello universitario, speceie qui nello Stato della California, dove ogni campus dispone di un vasto appezzamento di terra, dove si potrebbe non solo insegnare l’agricoltura rigenerativa, ma anche attivare dei diplomi specifici, magari una laurea in agricoltura rigenerativa, come fanno al campus di Santa Cruz. Si potrebbe davvero studiare l’impatto sulla salute del cibo prodotto con tecniche rigenerative, come avviene all’Università di San Francisco - continua Alice Waters - ed al campus di Irvine, o anche all’Università di Davis. Spero che così riusciremo a trovare un modo anche per coinvolgere le fasce dall’asilo al liceo. Gli istituti di questo grado, infatti, non hanno soldi: dalle elementari alle superiori, le scuole non dispongono di fondi per questo tipo di attività e ricerca, ma penso che l’Università della California, con la sua lunga tradizione di impegno a sostegno dell’economia dello Stato, potrebbe insegnare e trasmettere questi valori di buona gestione, di nutrimento e cura, di comunità, di diversità, ad ogni studente, attraverso l’acquisto di cibo prodotto dalle persone che si prendono cura della terra per le future generazioni. Inoltre - aggiunge la Waters - si potrebbero rendere tutti gli scarti di cibo riportandoli ai campi o agli allevamenti: è incredibile la quantità di cibo che si spreca o che invece potrebbe essere recuperata, restituendolo alla terra da cui proviene e rigenerando così anche le nostre vite”.
In definitiva, è un messaggio che riguarda “il lavorare insieme, e coinvolge tutte le persone che lavorano su questi temi da 50 anni, i produttori biologici certificati, la tutela dell’ambiente, i Sierra Club, la NRDC, che a livello globale si sono spese per prevenire il disastro al quale oggi, invece, stiamo assistendo in tutto il mondo a causa dei cambiamenti climatici. Potremmo davvero articolare il nostro lavoro in connessione con il sistema scolastico, e dare il nostro contributo insegnando alle nuove generazioni ciò che noi abbiamo appreso in tanti anni di impegno portato avanti insieme, facendo parte di questa incredibile rete internazionale che è Slow Food. Se riusciamo a creare una sinergia con il sistema scolastico - sottolinea Alice Waters - dissemineremo quei valori di buono, pulito e giusto portandoli fin dentro le mense scolastiche, in tutte le scuole del pianeta. Possiamo farlo, siamo già riusciti a farlo, e sono estremamente fiduciosa. So che dobbiamo essere noi il cambiamento che vogliamo nel mondo, io la chiamo da sempre la “rivoluzione deliziosa”, perché non è difficile da realizzare”, conclude la vicepresidente di Slow Food International.
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