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La sensibilità per i vini naturali non cala, ma i consumi sì: colpa della pandemia

“Global Sola: Opportunities For Sustainable & Organic Wine” by Wine Intelligence: premi e storia contano più delle certificazioni green
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I vini “Sola” sul mercato dei consumi

Il destino dei vini “Sola”, ossia Sustainable, Organic, Lower alcohol, Alternative, segmento tanto variegato quanto fortunato, sul mercato dei consumi è intrinsecamente legato al ritorno alla normalità. Emerge dal report di Wine Intelligence, “Global Sola: Opportunities For Sustainable & Organic Wine”: pur continuando a crescere la consapevolezza e la sensibilità verso le questioni ambientali - a cui i vini “Sola” offrono comunque delle risposte, più o meno dirette - la pandemia, anche nel vino, ha diretto, infatti, i consumi verso prodotti conosciuti, tradizionali, familiari. Comprimendo, al tempo stesso, gli acquisti che potremmo definire più “avventurosi”, in cui rientrano anche i vini organici, sostenibili, ecofriendly, fair trade, senza solfiti, a bassa gradazione, ma anche gli orange wine, i vini biodinamici e quelli vegani, sacrificati dalla spesa ai tempi dei lockdown, più ragionata e veloce, e meno adatta alle scelte impulsive ed alle novità.
Tutte categorie che, tra i consumatori di Australia, Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Giappone, Olanda, Nuova Zelanda, Portogallo, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Uk e Usa, hanno spesso una valenza positiva. I vini naturali ed organici, in particolare, così come quelli che possono vantare il marchio fairtrade, hanno maggiori possibilità di essere scelti, seppure con qualche differenza tra un mercato e l’altro. I vini naturali vanno forti in Canada, meno in Gran Bretagna, quelli organici sono molto amati in Svezia, ma molto meno in Australia. Il marchio fairtrade è sicuramente un plus in Svezia e Gran Bretagna, ma non negli stati Uniti, mentre i vini vegani e vegetariani hanno l’effetto opposto, quello cioè di allontanare i consumatori. Il motivo è presto detto: la stragrande maggioranza, non si spiega come un vino possa non essere vegano, e che motivo ci sia quindi di una certificazione.
In etichetta, però, c’è tanto altro, e se è ormai assodato, anche in tempi di pandemia, che le certificazioni green aiutino a vendere, ci sono due aspetti che portano benefici ancora superiori, specie se messi a paragone con gli altri. In primis, i vini che riportano in etichetta la vittoria di un premio o un concorso (“award winning”): il 14% dei consumatori ammette di essere più propenso all’acquisto di un vino premiato, che di un altro. E poi, c’è la storia, che nel vino e nell’immaginario che l’accompagna e che rappresenta, ha ancora un peso specifico rilevante: l’8% dei rispondenti si mostra sensibile alla presenza in etichetta dell’anno di fondazione, ovviamente se molto indietro nel tempo, come, ad esempio, “fondata nel 1870”.
Solo dopo arrivano i vini naturali ed organici, le categorie che segnano i ritmi di crescita maggiore ormai da anni, ma che, per ora, non veicolano più vendite di un vino premiato o di un’azienda storica. Nonostante, come detto in apertura, una sensibilità verso l’ambiente sempre maggiore, che fa propendere i consumatori per la scelta delle bottiglie di vetro, in barba al trend che vorrebbe i packaging alternativi in ascesa: il vetro, riutilizzabile e riciclabile, è visto ancora oggi come il contenitore più rispettoso dell’ambiente. Il vino, comunque, viene considerato dal 42% dei consumatori la bevanda più sostenibile che ci sia, e 4 consumatori su dieci dicono di fidarsi solo delle certificazioni presenti in etichetta, dicendosi disponibili a spendere qualcosa in più per un vino sostenibile, nella convinzione che contenga meno prodotti chimici degli altri. Inoltre, uno su tre, avendo la possibilità di scegliere tra un vino tradizionale ed uno organico, sceglie il secondo.

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