Il Pinot Grigio di Santa Margherita festeggia, proprio in questi giorni, i 60 anni dal suo debutto sul mercato: un’intuizione, quella del Conte Gaetano Marzotto, alla guida del gruppo vinicolo di Portogruaro, sia da un punto di vista enologico, con le uve di Pinot Grigio vinificate, per la prima volta, in bianco, e quindi senza che le bucce vengano a contatto con il mosto, sia sotto il profilo commerciale, vista la straordinaria fortuna incontrata in Italia ma soprattutto all’estero. Il mercato interno premiò sin da subito un vino dalla straordinaria bevibilità, diventato presto un’icona, non tanto a tavola, quanto negli altri momenti della giornata, come piacere da concedersi, e non come completamente della dieta. Un ruolo a cui, all’epoca, il vino raramente sapeva assurgere, ma che ha invece sempre interpretato negli Stati Uniti, dove il Pinot Grigio di Santa Margherita ha raccolto i successi più grandi, ma solo nel decennio successivo, dimostrando che l’Italia poteva offrire vini sexy, perfettamente coerenti con l’evoluzione delle società e del gusto moderno. Allora come oggi, visto il successo raccolto tra le star della musica e del cinema: non è raro, infatti, trovarlo in compagnia di celebrities del calibro di Rihanna o Kylie Jenner, Jon Bon Jovi o Drake, che gli dedica perfino alcune rime nei testi delle sue canzoni più celebri.
Quella del Pinot Grigio di Santa Margherita, però, è una storia che, come racconta a WineNews Beniamino Garofalo, amministratore delegato del Gruppo Santa Margherita, ha vissuto il suo momento di svolta, in un frangente preciso, “nel 1979, allorché in una degustazione alla cieca venne incoronato quale vino bianco migliore d’Italia e gli vennero spalancate le porte del grande mercato statunitense. Si decise di introdurlo esclusivamente nel canale On Premise - in particolare nei ristoranti di alto profilo di matrice italiana - con un posizionamento nel segmento Ultra Premium, ad un prezzo doppio rispetto alla media dei vini bianchi nazionali o importati. Nel volgere di pochi lustri, anche grazie a mirate azioni di marketing a supporto - in particolare, efficaci campagne di comunicazione verso il consumatore finale - divenne il vino bianco italiano più ricercato negli Stati Uniti”, ricorda Garofalo. “Molti produttori italiani seguirono allora la strada tracciata da Santa Margherita, lanciando il proprio Pinot Grigio. Si contribuì così alla crescita di una nuova categoria di vini targati made in Italy, che tutt’oggi resta la più richiesta e venduta nei vini bianchi importati negli States. Tra tutti, il Pinot Grigio Santa Margherita ha saputo mantenere solida la sua leadership, restando per ben quattro decadi saldamente in cima alle classifiche come il bianco italiano più importato e venduto negli Usa”.
Con numeri in continua crescita, che hanno fatto degli Stati Uniti il mercato di riferimento per Santa Margherita, “e siamo certi che resterà il locomotore principale per l’export del vino italiano anche per il futuro. Per questo - riprende l’amministratore delegato del Gruppo Santa Margherita - nel 2016 abbiamo avviato Santa Margherita USA Inc., società controllata d’importazione e distribuzione negli Stati Uniti, con sede a Miami. L’obiettivo è di presidiare questo mercato con ancor più efficacia, garantendo una nostra presenza capillare in tutti gli Stati dell’Unione e in reti commerciali nuove, prima intercettate soltanto marginalmente. Ad oggi resta il più importante investimento diretto effettuato da una cantina italiana negli Stati Uniti”.
Di acqua sotto i ponti, in questi 60 anni, ne è passata, anche per un vino pop e fenomeno commerciale come il Pinot Grigio, chiamato per forza di cose a confrontarsi con le sfide del presente, a partire da quella del rapporto con la terra, il territorio e la sostenibilità. “Ricordo che il nostro Pinot Grigio riesce ad essere pop e top al tempo stesso. È conosciuto ovunque, ha saputo avvicinare al vino nuovi consumatori, lo si può trovare nel migliore ristorante come nella bottega sotto casa, e si abbina bene con tutte le cucine regionali e nazionali del mondo. Al contempo, è ancora il più imitato e, soprattutto, è il vino italiano che negli Usa ha riscosso il maggior successo, mantenendo la sua leadership da ben quattro decadi. Tutto ciò è nato dalla visione di un uomo, ma si concretizza grazie all’operato quotidiano di moltissime persone, partendo proprio dalle vigne”, ricorda Beniamino Garofalo. “Per soddisfare la crescente domanda, Santa Margherita iniziò già negli anni Sessanta un’attenta selezione delle migliori parcelle, adatte alla coltivazione del Pinot Grigio. Non essendo tuttavia acquistabili secondo la legislazione vigente in materia di proprietà privata in Alto Adige, sono divenute oggetto di contratti con centinaia di piccoli produttori in Sud Tirolo e lungo la Valle dell’Adige. Questo modus operandi ha portato nel corso degli anni alla nascita di interessanti sinergie tra Santa Margherita e i vignaioli locali, garantendo loro di poter usufruire del costante supporto del team tecnico di Santa Margherita, e adottare così le tecniche più innovative anche nei vigneti dei borghi più remoti”.
Un modello di filiera produttiva, oggetto anche di attenti studi universitari per la sua efficacia nel tempo, che “si è rivelato vincente non soltanto sul breve termine, ma da sessant’anni disciplina rapporti win-win che al contempo hanno importanti ricadute sull’ambiente naturale e sulla tenuta sociale ed economica del territorio: non è stato perduto il patrimonio e le competenze tecniche di famiglie che da centinaia d’anni coltivano la vite; non sono stati abbandonati i vigneti; le famiglie hanno potuto contare su redditi certi evitando lo spopolamento dei campi e l’abbandono delle contrade”, sottolinea l’amministratore delegato del Gruppo Santa Margherita. “Sfidiamo così anche il cambiamento climatico, stando in prima linea, attraverso best practice in cui la tradizione ha saputo sposare l’innovazione sostenibile e le buone pratiche di vigna e di cantina, trasformandole in azioni concrete quotidiane, come la tutela della biodiversità, la riforestazione, la produzione di energia da fonti rinnovabili o l’attuazione - da ormai sette anni - del programma di “carbon neutrality” più vasto mai compiuto da una cantina italiana”.
Allargando lo sguardo al resto del mondo, e non solo agli Stati Uniti, il Pinot Grigio di Santa Margherita “è arrivato con successo in 90 Paesi diversi, “assicurandoci la leadership a valore nel segmento Pinot Grigio anche in mercati di indiscussa rilevanza per l’export italiano, quali Canada e Germania, così come l’apertura di nuovi mercati per il vino italiano, come l’Australia, l’India, i Caraibi, Messico e Brasile. Prima dello scoppio della pandemia, buoni segnali di crescita venivano registrati anche nel comparto del travel retail”, dice Beniamino Garofalo. “La facilità nel conquistare nuovi mercati, anche quelli già produttori di vino, è da ricondurre al fatto che il Pinot Grigio Santa Margherita riesce ad essere - anche a distanza di 60 anni - un vino moderno, sempre al passo con i tempi, amato da un pubblico molto trasversale. Sa essere la scelta migliore nelle occasioni di consumo più svariate ed è estremamente versatile negli abbinamenti, non solo con la cucina italiana o mediterranea”.
Una storia di successo, ma anche un binomio inscindibile, esempio raro, ma non unico, di come un vino sappia diventare più popolare della cantina che lo produce. Esempio difficile da replicare, ma non impossibile. “Non sono certo pochi i vini la cui popolarità supera quella della cantina che li produce, in Italia come nel resto del mondo. Così come ci sono tipologie di vini - se guardo agli ultimi successi globali italiani: dall’Amarone al Prosecco - che hanno una fama che va ben oltre a quella dei singoli produttori. Non posso escludere - conclude Beniamino Garofalo - che in futuro arrivi un vino-novità capace di diventare l’incarnazione a livello mondiale di una cantina, e superarla in popolarità. Ma non credo davvero sia replicabile quello che il binomio Pinot Grigio-Santa Margherita ha fatto: in termini di innovazione, di cambiamento del gusto, di costruzione di un’immagine, di consolidamento della qualità, di apertura di nuove strade di sbocco per un intero comparto produttivo. È stato un cambio di paradigma che si dimostra tuttora vincente. Questo binomio è uno degli ambasciatori nel mondo (non pochi, per fortuna) dell’Italia che funziona e questo, forse, meriterebbe un po’ più d’attenzione”, conclude l’amministratore delegato del Gruppo Santa Margherita.
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