Sarà per il secondo anno di fila una Pasqua diversa, a causa delle restrizioni portate dalla pandemia, ma a tavola la tradizione rimane intatta. Una tradizione che in cucina significa uova, alimento versatile e che si presta a molteplici utilizzi. Nella Settimana Santa saranno 400 milioni, per un valore di circa 120 milioni di euro, le uova consumate per piatti tipici, prodotti artigianali e industriali. A dare le stime, in prossimità della Pasqua è Unaitalia, associazione che rappresenta il 92% della produzione avicola nazionale. “Anche per la Pasqua 2021 - dichiara il presidente Antonio Forlini - si conferma la passione degli italiani per le uova, autentiche regine del carrello durante il primo lockdown e tra i prodotti maggiormente apprezzati dal consumatore nel 2020. Lo confermano anche i dati Ismea che hanno rilevato una crescita degli acquisti del 14% in valore e del 12,5% in volume. E per il 2020 la produzione si attesterà a 12,4 miliardi (dati Unaitalia ndr) con un consumo pro-capite annuale di 216 uova”. Uova che non perdono mai il proprio appeal ma che nella Settimana Santa fanno rivivere antiche ricette regionali per un viaggio culinario da nord e sud del Belpaese raccolto da Unaitalia e raccontati sui social attraverso la community di www.vivailpollo.it.
Dalla Valle D’Aosta dove a farla da padrona è la Crescia, una focaccia impastata con uova, olio d’oliva, pecorino stagionato e abbondante pepe nero, da accompagnare con il salame e che, a differenza della versione marchigiana, non richiede latte e formaggio filante nell’impasto ma solo albumi montati a neve per renderla più soffice ma anche la Tourta de Paque o Torta verde di Pasqua, a base di lardo, salsiccia valdostana ed erbe aromatiche primaverili e selvatiche di montagna. In Liguria si ricordano gli anni di Cristo nelle trentatre sfoglie della Torta Pasqualina con bietole e prescinsuea, spalmati tra i vari strati, più latte e uova. Oggi le sfoglie non sono più 33 ma vanno da 5 a 7, il numero è sempre dispari.
Uova è anche sinonimo di frittata che si celebra grazie all’abbinamento con verdure novelle o salumi: in Lombardia, ad esempio, si fa “rognosa” con il salame milano, ricetta nata dalle regiure (padrone di casa) per utilizzare al meglio questo ingrediente che persino vescovi e cardinali sapevano gradire. Passando ai dolci, oltre alla tradizionale colomba che unisce l’Italia intera, in Veneto troviamo la Focaccia dolce di Venezia, di origine popolare nata nel quindicesimo secolo inizialmente per i matrimoni, arricchitasi in seguito con canditi e spezie così da diventare un dolce nobile. In Emilia Romagna spicca invece il Bensone, farcito con marmellata di amarene o con crema alle nocciole, che nella tradizione modenese si portava in chiesa il Sabato Santo per farlo benedire, da qui il nome “pane di benedizione”, in dialetto bensone. Nelle Marche protagoniste della tavola sono le Strozzose, le ciambelle a due cotture che le vergare, contadine marchigiane, realizzavano il Venerdì Santo in gran segreto per finire poi la cottura in forno la mattina della Domenica di Pasqua.
Un trionfo di carne, formaggio e uova imbandisce la tavola pasquale delle montagne abruzzesi, dov’è tipico l’agnello “cacio e ova”, bocconcini di carne immersi in una crema con pecorino, uova e pepe, antica ricetta dei pastori che nasconde segreti tramandati fra generazioni. Se nel Lazio a pranzo trionfa l’abbacchio, in Campania non può mancare il Casatiello, un ripieno di formaggio, salame, strutto, ciccioli e uova, citato già nel ‘600 nella favola “La gatta Cenerentola” del poeta Giambattista Basile, e la Pastiera, l’unica torta in grado di far sorridere anche la “Regina che non sorride mai”, Maria Cristina di Savoia. Rappresenta il corpo di Cristo che all’alba di Pasqua si “scarcerò” dal sepolcro la Scarcella (o scarcedda) pugliese: una ciambella, proposta anche in altre forme, con sopra delle uova sode con due listelli intrecciati a forma di croce. Si narra anche che in tempo di ristrettezze economiche, il fidanzato poteva regalare una scarcella alla propria compagna oppure alle madrine come pegno d’amore. Nel viaggio culinario nell’Italia delle uova d’oro, la tradizione popolare accompagna le ricette elaborate e sostanziose della Sicilia dove spiccano tra le altre U Sciuscieddu, minestra messinese con brodo di carne o di pollo, carne di vitello tritata, ricotta, uova, parmigiano e prezzemolo; il Tegame pasquale di Aragona, ovvero rigatoni impastati con uova, tuma, pecorino, cannella, brodo di pollo, zafferano, pane, prezzemolo, sugna e pepe e l’immancabile Cassata, la cui ricetta attuale si deve alle Suore del Monastero di Valverde a Palermo che nel 1700 modificarono la ricetta araba aggiungendo pan di spagna e glassa colorata. Nella sua preparazione ricorda i diversi strati culturali della città e il suo nome deriva dall’arabo quas’at (scodella), dal recipiente in cui si mescolavano ricotta e zucchero.
Una forte simbologia popolare accompagna anche tante preparazioni pasquali in Sardegna, tra cui la Sa pippia, il biscotto tipico che ricorda la forma di una bamboletta realizzato con uova, farina e scorza di limone, che ancora oggi si regala ai bambini la Domenica delle Palme. Di derivazione leggendaria - ricorderebbe infatti il pianto di una bambina morta in tragiche circostanze - la bambolina di biscotto viene preparata con sette gambe, come a rappresentare un Calendario dell’Avvento pasquale, e per ogni giorno della Settimana Santa si stacca una gamba e ci si rende così conto di quanti giorni manchino ancora alla Pasqua.
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