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La vita straordinaria della Marchesa Giulia di Barolo, che cambiò la sua epoca

“Sangue delle Langhe. La saga dei Barolo”, il romanzo firmato da Marina Marazza, intreccia passione, storia, filantropia e vino

Nella passione crescente per i period drama, dai quali, sempre più spesso nascono fortunate serie tv - la tendenza del momento, accanto ai romanzi storici ed ai film in costume - anche il vino ha molte storie da raccontare, ricche di personaggi le cui vite si intrecciano con le vicende italiane, fatte di passioni, amori, amicizia, politica, rivoluzioni, ingegno, e chi più ne ha ne metta, sullo sfondo di territori e luoghi che oggi sono tra i simboli non solo dei territori dove nascono le etichette italiane, ma anche e soprattutto del patrimonio culturale del Belpaese. È il caso di “Sangue delle Langhe. La saga dei Barolo”, il romanzo firmato da Marina Marazza, pluri premiata autrice di saggi e narrative non fiction - basate su fatti realmente accaduti, ndr - che racconta la vita straordinaria di Juliette Colbert, che lasciò la Francia per il Piemonte, passando alla storia come Giulia, la Marchesa di Barolo.
È alla sfarzosa incoronazione di Napoleone Bonaparte a Parigi che la nobile francese Juliette Colbert, dama di compagnia dell’Imperatrice Giuseppina Beauharnais, nata nel 1786 a Maulévrier, in Valdea, secondogenita dei Conti Colbert e discendente di Jean-Baptiste Colbert che fu Ministro delle Finanze del Re Sole Luigi XIV, conosce Carlo Tancredi Falletti di Barolo, appartenente ad una delle più importanti famiglie aristocratiche del Piemonte: è un colpo di fulmine, e pochi anni dopo Juliette diventa Giulia di Barolo, sua moglie, e lo segue nella splendida e terribile Torino della Restaurazione, stabilendosi a Palazzo Barolo. Nelle prigioni della città sabauda, intanto, è rinchiusa la fiera Angela Agnel, uxoricida: ha accoltellato il marito ubriaco che tentava di abusare della figlia. Donne diverse, vite agli antipodi che il destino si diverte a intrecciare, raccontate nel romanzo (Edizioni Solferino, 2025, pp. 384, prezzo di copertina 20 euro), nel fermento della rivoluzione industriale, delle prime lotte per i diritti dei lavoratori, delle conquiste sociali di cui Giulia di Barolo diventa presto intrepida sostenitrice, la prima a sollevare in Italia il problema dei penitenziari femminili, impegnandosi a riformare le carceri piemontesi, dove c’è tanto da fare perché le prigioniere languono senza più alcuna speranza di riscatto, ma anche tra i poveri della città che chiedono pane e giustizia.
E Giulia trova il tempo per occuparsi, rimettendo a reddito, anche delle tenute di famiglia nelle Langhe, dove si produce un “vinello” che, con i nuovi metodi importati dalla Francia, potrebbe diventare un nettare più nobile e corposo, addirittura il “vino dei re e il re dei vini” italiani, secondo le intuizioni dell’ultima Marchesa di Barolo, che volle costruire nuove cantine dove vinificare l’uva in grandi botti, e che dall’antico Castello della Volta (che tra tanti illustri ospiti, ospitò lo scrittore Silvio Pellico, autore de “Le Mie Prigioni”), ne inviava botti più piccole, una per ogni giorno dell’anno, al Re Carlo Alberto di Savoia, primo tra i collezionisti del Barolo, che grazie a Giuli assunse corpo, stabilità e nobiltà di oggi, di pari passo con il crescere della stesso interesse da parte di Camillo Benso Conte di Cavour che, negli stessi anni di metà Ottocento, e negli stessi luoghi, tra Torino e le Langhe dove si incontravano, avviò la produzione del Nebbiolo, nel mentre che si faceva l’Unità d’Italia. Una storia, custodita e portata avanti, a partire dalle cinque pluricentenarie “Botti della Marchesa”, ancora oggi perfettamente integre ed efficienti, e da rari millesimi di Barolo di fine Ottocento, dalla cantina Marchesi di Barolo, guidata dalla famiglia Abbona, nel cuore di Barolo, riferimento del vino piemontese ed italiano.
Intanto, l’aristocrazia torinese si interroga: perché tutta questa frenesia? Forse perché la povera marchesina di Barolo non riesce ad avere un figlio? Magari, se si concentrasse sulla famiglia, le cose cambierebbero? E Giulia è disposta a molto, pur di mettere al mondo il sospirato erede: medicamenti, terapie, persino sortilegi. Ma non è disposta a rinunciare alle sue idee, né al suo amore, né alle sue battaglie.
Il sangue delle Langhe scorre nelle pagine avvincenti del romanzo: nelle vene dei protagonisti, nel frutto dei vigneti, nei crimini che insanguinano i quartieri degradati del popolo e nelle rivoluzioni che si preparano tra i palazzi del potere. E un destino di sangue, traversie e trionfi attende due donne audaci decise a cambiare il loro tempo. Alla sua morte, nel 1864, la Marchesa Giulia, vedova e senza eredi, costituì l’Ente Morale Opera Pia Barolo, cui fece dono di tutti i suoi beni, per perpetuare le sue numerose iniziative caritatevoli, e che, ancora oggi, come Opera Barolo ne porta avanti l’eredità.
Marina Marazza collabora con diverse riviste tra cui “Io Donna” del “Corriere della Sera”, tra i titoli usciti con Solferino “L’ombra di Caterina” (2019), “Io sono la strega” (2020, vincitore del Premio Salgari, del Premio Asti e del Premio Selezione Bancarella 2021), “Miserere” (2020), “La moglie di Dante” (2021), “Le due mogli di Manzoni” (2022, vincitore del Premio Acqui Storia), “Il bambino di carta” (2023) e “Il segreto della monaca di Monza” (2024).

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