Per alcuni sarebbe una conquista che metterebbe l’Italia al pari di alcuni dei Paesi più avanzati, in Ue, sul tema caldissimo del lavoro e dei salari, stabilendo un limite economico sotto il quale sarebbe illegale andare. Altri lo ritengono invece un errore, annunciando scenari limite, in cui le imprese potrebbero addirittura uscire dalle associazioni che sottoscrivono i Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro. Come ha fatto senza mezzi termini Confagricoltura, guidata da Massimiliano Giansanti, oggi, all’audizione della Commissione XI (Lavoro Pubblico e Privato), alla Camera dei Deputati.
La contrattazione collettiva, che, in Italia, ha una copertura più ampia degli altri Paesi Ue, per la Confagricoltura, spiega una nota, “offre già sufficienti tutele per i lavoratori, proprio con l’applicazione delle retribuzioni minime previste dai diversi contratti. Applicare un salario minimo superiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva avrebbe un effetto a catena difficilmente controllabile, dai costi non quantificabili per le imprese, che versano già in gravi situazioni di difficoltà a causa dei ridotti margini tra prezzi dei prodotti agricoli, spesso decrescenti, e costi di produzione sempre in rialzo”.
Confagricoltura segnala che “le imprese potrebbero uscire dalle associazioni firmatarie di Ccnl per applicare solamente il minimo legale anche ai lavoratori inquadrati nei livelli superiori, depotenziando funzione e ruolo delle Organizzazioni datoriali e sindacali di rappresentanza che li sottoscrivono, indebolendo così efficacia e copertura della contrattazione collettiva. Inoltre, il salario minimo potrebbe disincentivare la stipula e i rinnovi di questi contratti in presenza di una retribuzione già fissata e adeguata automaticamente per legge, con effetti sul trattamento economico complessivo: mensilità aggiuntive, maggiorazioni, welfare bilaterale, che proprio i Ccnl garantiscono in aggiunta alla retribuzione minima”.
Secondo Confagricoltura, ci sarebbero anche effetti nefasti sull’occupazione: “minimi retributivi elevati e rigidità nominali potrebbero addirittura contribuire a far aumentare il tasso di disoccupazione strutturale in Italia, far crescere il lavoro irregolare e incrementare il lavoro precario. Infine, l’adeguamento automatico e periodico delle retribuzioni fissate sulla base di indicatori Istat potrebbe innescare una sorta di nuova “scala mobile” con fenomeni inflattivi difficilmente controllabili e dai potenziali effetti negativi sull’intera economia. Migliorare le condizioni retributive minime per tutte le categorie di lavoratori è possibile solo rafforzando la contrattazione collettiva. Per Confagricoltura i contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative vanno estesi - individuando meccanismi coerenti coi nostri principi costituzionali - anche ai settori affini non coperti, per evitare zone d’ombra discriminatorie e condizioni di dumping sociale”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024